Oggi è il 25 aprile e, come ormai da molti (troppi) anni, scattano le polemiche su come, e chi, festeggia. Una giornata, insomma, che nata per unire e celebrare la ritrovata libertà dal nazifascismo è, progressivamente, diventata momento di rottura. Questo è accaduto, probabilmente, anche perché, oltre alle gite fuori porta, questa festa è stata percepita come di parte, quasi che l’autentico antifascismo fosse quello dei foulard rossi, di “Bella ciao” e del sol dell’avvenire. Sarebbe, forse, il tempo di farla divenire, a suo modo, una festa contro tutti gli autoritarismi, vecchi e nuovi, che nascono, ogni giorno, in Europa e nel mondo.
Quella fase storica ci ha regalato, però, una guida preziosa, e sempre attuale, per la costruzione di un mondo migliore: la nostra Costituzione repubblicana. Si pensi all’intuizione di una Repubblica democratica, fondata sul lavoro dell’articolo 1. Il riconoscimento del principio, dopo venti anni di regime, che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali si è, per esempio, trasformato in politiche concrete?
La Repubblica, che poi siamo tutti noi, è riuscita nel compito assegnatole di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese? Stiamo riuscendo, ad esempio, a vincere la battaglia contro le nuove povertà e le disuguaglianze crescenti?
Come (se?) si riconosce, nel terzo millennio, a tutti i cittadini il diritto al lavoro e si promuovono le condizioni che rendano effettivo questo diritto? Siamo sicuri di poter sostenere, a distanza di oltre 70 anni, che ogni cittadino ha il diritto/dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della nostra complessa società?
Solo questi stimoli, insomma, potrebbero rappresentare, tranquillamente, la base programmatica di un Governo, di qualsiasi colore, da quanto è sempre grande la distanza tra i principi e la realtà. Potrebbero essere inoltre, una buona base, in questo 25 aprile elettorale, per un dibattito serio sull’Europa che ci proponiamo di costruire dopo queste elezioni considerate, da molte parti, storiche. Un’Europa, insomma, sociale che potrebbe parlare anche un po’ italiano ed essere, almeno un po’, figlia di quella Costituzione democratica e fondata sul lavoro che si dimostra, ancora una volta, estremamente moderna.