Il culto dei defunti, la cosiddetta festa dei morti, è uno di quegli eventi che hanno segnato il passaggio da ciò che non è storia a ciò che è storia e civiltà. La prospettiva di un “dopo” che dà luce alla vita, anche a quella più sofferta, e dona la possibilità di un legame tra chi rimane e chi non c’è più, ha segnato la nascita delle civiltà.
Il Culto dei Lari nell’antica Roma era importantissimo. Padri e madri venivano cremati e in quelle condizioni rimanevano dentro la casa dove si svolgeva la vita quotidiana. Si partoriva in casa, si moriva in casa e in casa continuavano a rimanere le spoglie dei defunti: in questo modo la famiglia continuava ad esistere al completo.
La festa dei morti unisce credenti e non credenti, perché anche chi è ateo ha nel cuore l’importanza del ricordo di chi non c’è più. Il cristiano però non si ferma lì. La vita di chi ci ha preceduti non ci interpella solamente: noi per la Fede sappiamo che tra loro e noi continua ad esistere un legame di comunione. Che può essere di aiuto reciproco per chi è in Purgatorio, o solo a nostro favore nel caso fortunato che i nostri cari godano già della visione beatifica. Per chi è all’Inferno questo legame non c’è più, però è importante ricordare che, contrariamente a quanto accade per il Paradiso, la Chiesa non conosce con certezza i nomi di nessun dannato che condivida con il demonio il terribile destino dell’eterna lontananza da Dio.
Lo affermò Wojtyla nel libro intervista con Messori “Oltre la soglia della speranza” (1994). Lì, alle pagine 201-202 affermò: “Di nessuno, neppure di Giuda, si può parlare con sicurezza di eterna dannazione”. Cinque anni più tardi, il 28 luglio 1999, in una Udienza generale. San Giovanni Paolo II precisò: “La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato conoscere, senza speciale rivelazione divina, se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti”.
Nell’inquietudine della fede e soprattutto nei momenti di fragilità e di dubbio perfino sull’esistenza di Dio, il filo che ci lega a chi non è più con noi è decisivo. Ci dona il ricordo di sorrisi, di sguardi, di parole, di vite buone, “sante”, nella più totale ordinarietà della vita che sono una consolazione e una vicinanza. Sono anche un aiuto per chi sente la fede debole e incerta e avvolta dal mistero.
Fa bene trovare dentro di sé il ricordo di lineamenti familiari di chi ci ha amati e che noi non solo abbiamo amato, ma amiamo ancora.
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