La festa del lavoro dovrebbe essere una ricorrenza condivisa, oltre la contesa politica, e non dovrebbe essere oggetto di una sterile battaglia ideologica. Quest’anno invece, la ricorrenza del primo maggio ha inasprito il livello di scontro tra il Governo e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, da un lato, e la Cgil e il suo segretario Maurizio Landini dall’altro. Governo e sindacati, neanche a dirlo, la vedono molto diversamente sull’argomento del lavoro. Nei giorni scorsi infatti il sindacato aveva criticato il Governo per la convocazione in occasione del primo maggio. La Meloni ha risposto che era una segno dell’impegno del Governo verso i lavoratori e le risposte che essi si aspettano dalla politica. Meloni inoltre faceva notare che molte categorie lavorano normalmente in occasione del primo maggio, compreso il personale che consente lo svolgimento del “Concertone”.
Secondo il presidente del Consiglio, quindi, se non si deve lavorare il primo maggio bisogna spostare il concerto di Piazza San Giovanni ad un altra data. I sindacati d’altronde sono contro il decreto lavoro e contro le misure che vi sono contenute. Le ritengono soluzioni inadeguate e dannose. In particolare il taglio del cuneo fiscale giudicato misura irrisoria. Nel dibattito sono entrati a vario titolo anche il ministro del Made in Italy Adolfo Urso e il segretario della Cisl, Luigi Sbarra. Il primo si aspetta la collaborazione del sindacato, mentre il secondo auspica sul lavoro un vero confronto con le parti sociali. Senza voler entrare nella retorica sull’importanza del lavoro per la crescita morale e materiale dell’uomo e lo sviluppo economico e sociale del Paese, mi piace tuttavia mettere in risalto dati e fatti che possono illuminare il momento. In particolare sulla funzione e sull’azione del sindacato italiano.
A questo proposito, secondo Milano Finanza nell’ultimo anno i salari reali dei manager sono aumentati del 6%. Contemporaneamente quelli dei dipendenti (senza scala mobile) sono scesi dell’8%. Consideriamo che le retribuzioni reali dei lavoratori negli ultimi 30 anni sono già scesi del 3% circa. Discesa dovuta ad una lunga serie di riforme regressive del mercato del lavoro fatte per rincorrere la produttività, parametro al palo da un trentennio in coincidenza con l’ingresso nell’euro. Una specie di lotta di classe al contrario che una sparuta minoranza degli occupati sta conducendo contro il resto dei lavoratori.
Radio Popolare inoltre ci partecipa di un altra notizia, bistrattata dai media mainstream e relegata ai margini dell’informazione di massa. Esiste un contratto nazionale nella categoria multiservizi che prevede una paga oraria di circa 3,96 euro l’ora. Il contratto è stato firmato a livello nazionale da Cgil e Cisl. La notizia si è diffusa grazie al ricorso di una dipendente, guardiana in un magazzino, che era soggetta al contratto in questione. La donna percepiva una paga di 640 euro per un mese di lavoro quando i dati Istat rilevano per il Nord Italia una soglia di sopravvivenza di 840 euro mensili.
Il giudice del lavoro di Milano, facendo riferimento alla Costituzione (la “più bella del mondo”) e all’Istat, ha sancito che non si può lavorare a tempo pieno percependo una somma sotto la soglia di povertà assoluta. Il giudice ha quindi imposto al datore di lavoro un risarcimento al lavoratore. Fino al raggiungimento degli 840 euro al mese quale retribuzione minima per superare la soglia di povertà Istat.
Discutere sul merito della sentenza non ci interessa, lasciamo i commenti ai giuslavoristi. Ci interessa invece evidenziare che la Cgil e la Cisl hanno avallato un contratto nazionale di lavoro che è anticostituzionale e il cui compenso pare più una mera elemosina. Un affronto al lavoratore. È stupefacente che sia un datore di lavoro che un sindacato come la Cgil, attentissima alla formale difesa dei diritti dei lavoratori, abbia potuto convenire su un simile accordo. Verrebbe da dire che Landini ed i suoi invece di concentrarsi sull’antifascismo farebbero meglio a dedicarsi alla tutela del lavoro e al benessere anche materiale dei lavoratori. Nessuno deve essere costretto a scegliere tra il benessere e l’antifascismo.
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