Il quarto Mistero glorioso del Rosario ci fa contemplare Maria Assunta in cielo. Sono misteri della gloria, perché noi pensiamo sempre a Maria come gloriosa, presa da Dio col suo corpo. Un giorno anche noi potremo lasciarci prendere come lei. Ma ogni giorno noi possiamo essere presi da Dio nel punto in cui siamo, proprio quando, dentro le cose, accusiamo il contraccolpo dell’insoddisfazione. La festa dell’Assunta cade durante le vacanze estive, tempo di gioia, tempo preso al lavoro, tempo vissuto in amicizia, tempo che permette di sperimentare una gioia grande, un tempo che ci fa prendere tra le mani la nostra libertà, un tempo in cui abbiamo l’occasione di fare l’esperienza più vera di chi siamo. Perché proprio nell’uso del nostro tempo libero, si vede chi siamo. Quindi anche un tempo che possiamo sprecare senza questa possibilità di scoperta di noi stessi.



Maria ha fatto l’esperienza della mortificazione. Ogni volta che ha detto sì alla presa del Signore, dall’annuncio dell’Angelo fino al vedere suo Figlio crocifisso, è stato un po’ come morire, morire d’amore a un’idea che poteva avere di sé e del Figlio.

La devozione ci mostra anche Maria addolorata, perché nemmeno il dolore le è stato risparmiato. Ma noi continuiamo a pensare a lei come gloriosa, felice, in fondo col segreto desiderio di imitarla. Molti hanno imparato a pregare prima con l’Ave Maria che col Padre Nostro, e a volte capita di invocarla quando abbiamo paura, come una madre la vediamo forte, perché tutta presa da Dio. La preghiera, dice don Giussani, è “Il riconoscimento di qualcosa di più grande tra noi: Cristo tra noi. Con la preghiera Cristo ci diventa familiare. Avere coscienza di questa presenza (e questo è esaltante, è una profondità nuova perché è la coscienza di Dio che governa il nostro corpo) vuol dire espropriarsi, è perdersi, non possedere più niente: abbiamo tutto, ma siamo stati strappati da tutto. Questo è il digiuno: è il coraggio gustoso del sacrificio. Questo distacco da tutto fa nascere di più la passione per Cristo: ancora una volta, Maria sotto la croce è espropriata da ciò che le era stato dato. Infatti Gesù, rivolgendosi a lei dalla croce e indicandole Giovanni, dice: ‘Donna, ecco tuo figlio!’ (Gv 19,26): più espropriata di così! Eppure lì possedeva ancora di più la coscienza della sua appartenenza” (Luigi Giussani, appunti dall’intervento al Santuario della Beata Vergine di Caravaggio, 3 giugno 1982).



Una parola adeguata per descrivere il nostro rapporto col significato della vita e la gloria dell’eternità è “Arrivederci”. Proprio come mi è capitato un giorno, accompagnando un’ammalata con l’unzione degli infermi. Arrivato nella casa, portato dal marito, trovo la moglie inferma che dorme. Mentre le figlie erano prese a discutere con un’infermiera, il marito mi domanda di pregare con lui e per lei. Indosso la stola viola, accarezzo il volto di questa donna e subito lei si sveglia accogliendomi con un sorriso. Iniziamo a pregare insieme, riceve il Sacramento dell’unzione con molta sofferenza, poi mi guarda ancora con un grande sorriso e mi dice “Arrivederci”. Perché così può essere per tutti, un arrivederci con un sorriso che dice la certezza di una vita che non finisce, di una vita che si trasforma in una gioia senza fine, il Paradiso, dove tutto sarà chiaro e ci faremo due risate di tutte le volte che presi da tante cose, abbiamo detto no alla presa di Chi solo può trasformare la nostra vita in gioia senza fine, la gloria.



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