«La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche». Dopo i disastri della Seconda guerra mondiale, il 9 maggio di 72 anni fa, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman iniziava con queste parole una famosa dichiarazione che apriva la strada alla realizzazione, fra il 1951 e il 1958, delle tre Comunità europee (la Comunità economica, quella del carbone e dell’acciaio e quella dell’energia atomica) che nacquero successivamente alla guerra evolvendo sul finire del secolo scorso nell’Unione europea/Ue.
Il percorso previsto allora comportava una reciproca integrazione, non solo economica, fra nazioni che si erano combattute fino a pochissimi anni prima, durante la lunga «guerra civile europea» iniziata nel 1914 con l’assassinio a Sarajevo dell’erede al trono austro-ungarico. Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo misero in comune competenze, finanziamenti, persone al fine di creare un’organizzazione internazionale che nel “Vecchio continente” finalmente li portasse quotidianamente a operare pacificamente, secondo un principio di solidarietà comportante addirittura «limitazioni di sovranità» (consentite dall’art. 11 della Costituzione italiana), limitazioni contemperate dalla rappresentanza dei popoli realizzata sul piano degli organi comunitari “sovrannazionali” attraverso un Parlamento europeo eletto a suffragio universale diretto, con significativi poteri legislativi e di controllo politico.
Per questo la data di quella dichiarazione ha fornito l’occasione per celebrarvi ogni anno la “Festa dell’Europa”, di quell’Unione europea oggi arrivata a comprendere 27 Stati, dopo il ritiro della Gran Bretagna.
Così iniziò un tragitto continentale di libertà e progresso diffuso, intervallato da accidenti vari ma capace di produrre la sempre più facile circolazione – in un grande spazio territoriale condiviso – di persone, merci, servizi (bancari, assicurativi, ecc.) e capitali. Spazio in cui via via trovarono diffusione politiche comuni di protezione dei consumatori, di salvaguardia ambientale, di repressione dei reati, di prevenzione della corruzione, di regolazione dell’economia sociale di mercato, ecc., nonché di approfondita ricerca di una democrazia europea fondata sui principi dello Stato di diritto, del pluralismo, della non discriminazione, della tolleranza, della giustizia, della parità fra uomini e donne, come significativamente si esprime la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, entrata in vigore nel nuovo millennio a dimostrazione del fatto che l’Unione non è riducibile ai soli rapporti economici. Essa infatti si fonda su diritti il cui godimento, per converso, «fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future» (così il preambolo della Carta, dove il richiamo ai doveri ricorda i centocinquant’anni dalla morte di Giuseppe Mazzini, che “Dei doveri dell’uomo” scrisse).
Quelli su cui si fonda l’Ue sono principi di democrazia liberale e partecipata che proprio sulla persona si fondano, elidendo visioni razziali, etniche, nazionalistiche, dove invece l’individuo scompare. Sono principi che, attaccando l’Ucraina, sono stati “messi nel mirino” (non in senso metaforico) dalla Federazione russa, con una guerra-rivoluzione che va ben oltre l’obiettivo materiale attuale e punta al contenimento e alla restrizione dell’espansione di quei principi prima ancora che al ribaltamento dell’ordine internazionale.
Così le parole iniziali della Dichiarazione Schuman ci portano, oltre il ricordo, anche alla dura realtà odierna, realtà di conflitto armato e certo non di festa. Una realtà dove non solo prendono corpo visioni mistiche (o semplicemente opportunistiche) ed etnocentriche (la grande madre Russia che genera un unico popolo russo cui non può che provvedere un enorme impero), ma si vogliono pure contrastare, rovesciare e sostituire quei principi democratici in nome di opposti principi definibili, piuttosto che di “democrazia illiberale”(riservando semmai l’espressione ad esperienze di Stati interni all’Ue come l’Ungheria), di “democratura” (democrazia autocratica a tendenza dittatoriale) oppure, semplicemente, di totalitarismo.
Qualsiasi sia la giustificazione avanzata per la massiccia aggressione armata nei confronti della sovranità territoriale di un altro Stato, con l’esplicito richiamo all’uso dell’arma nucleare, si è comunque al di fuori della legalità internazionale. E bisogna pur dire chiaramente che l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite autorizza in tal caso – in carenza di intervento da parte del Consiglio di sicurezza, paralizzato dal veto russo – “il diritto naturale di autotutela” tanto “individuale” (da parte del Paese aggredito) quanto “collettiva” (cioè con l’intervento di altri Stati a supporto anche armato dell’aggredito). Il limite (giuridico-formale) è che l’intervento in legittima difesa dev’essere proporzionato all’attacco subito… e qui mi fermo subito perché tutti hanno visto le devastazioni cui è stato sottoposta parte del territorio ucraino dall’aggressione e la parola proporzione obbliga a piegarsi pure sulle sproporzioni (sostanziali) che si possono immaginare conseguenti a simili attacchi, se e quando portati con intensità distruttiva sul territorio russo.
Il ritorno della guerra in Europa, ai confini immediati dell’Unione europea, costringe a ricordare l’occasione perduta nel 1954 allorché la creazione di una Comunità europea della difesa fu affossata da un voto parlamentare francese. E all’obiezione di non parlar d’armamenti oggi non so far altro che rispondere: “certamente, purché si trovino soluzioni minimamente accettabili!”. Inconcludente benché suggestiva, è la rapida adesione dell’Ucraina all’Ue. A parte considerazioni sul fatto che sono pendenti altre domande di ingresso nell’Ue, come – da tempo – è il caso di quelle di Paesi balcanici, la richiesta effettuata non può avere a che fare con tempi brevissimi (l’Ucraina del resto ha tuttora in corso un accordo di associazione con l’Ue). E comunque, nel caso di adesione nelle presenti circostanze bisogna ricordare che l’art. 42.7 del Trattato sull’Unione europea prevede che “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”, il che comporta ad esempio l’automatico obbligo di intervento (armato) dell’Italia, per tacer di analogo obbligo sancito dal Trattato Nato, come precisa il seguito dell’articolo citato secondo cui “Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del Trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa”.
Dal 2020 l’Ue, alla prova della pandemia, ha intrapreso anzitutto la strada del miglioramento del sistema di “risorse proprie” (art.311 del Trattato sul funzionamento dell’Unione) adottando, fra l’altro, una decisione (n.2053 del 2020) sul finanziamento di Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) che prevede la condivisione tra tutti gli Stati membri del debito contratto per attuare quei piani, nell’ambito di un articolato programma denominato Next Generation Eu. La decisione si spinge anche a prefigurare delle modalità di tassazione sui “rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati” e “un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera” dell’Ue (applicabile a prodotti di Paesi non membri irrispettosi del contenimento di CO2) nonché «un prelievo sul digitale». E si è pure ragionato concretamente sull’opportunità di creare un’Agenzia europea del debito pubblico accanto a nuove regole fiscali.
Da quest’anno, ora alla prova della guerra alle proprie porte, l’Ue si è finalmente posta seriamente la questione della propria difesa militare, dopo l’insuccesso della Comunità europea di difesa, per fondarne un pilastro autonomo pur non rinnegando la Nato. Così il Consiglio Ue ha approvato la cosiddetta “Bussola strategica”, comprendente un piano d’azione per rafforzare la politica di sicurezza e di difesa comune.
Infine, pochissimi giorni fa il Parlamento europeo, dopo aver considerato necessaria la riforma della legge elettorale europea anche tramite la previsione di liste transnazionali di candidati e di un collegio elettorale europeo, ha avviato il percorso per la riforma degli stessi Trattati di Unione, secondo quanto previsto dall’art. 48 del Trattato sull’Unione europea.
Il protagonista del romanzo di Céline Viaggio al termine della notte combatte nella Prima guerra mondiale, viene ferito, finisce in Africa, si sposta in America … errabondo: “La nostra vita è come un viaggio di un viandante nella notte; ognuno ha sul suo cammino qualcosa che gli reca pena”. Cerchiamo la luce.
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