Il “Festival di Carnevale” del Maggio Musicale Fiorentino ha, tra i suoi titoli, un’opera poco rappresentata in Italia: Doktor Faust di Ferruccio Busoni, composta tra il 1916 ed il 1924, interrotta dalla morte del compositore, nella versione completata nel 1925 dal suo allievo Pilipp Jarnach. Credo sia solo la quarta volta che viene messa in scena nel nostro Paese: il debutto fu proprio a Firenze nel 1942. Ne ricordo una buona messa in scena a Bologna nel 1985 ed una alla Scala nel 2021. Ho visto ed ascoltato questo allestimento fiorentino l’11 febbraio.
Il mito di Faust (nelle sue numerosi versioni) ha sempre affascinato i musicisti e continua ad attrarli ancora; ad esempio, è il tema un’opera recente di Silvia Colasanti. Doktor Faust di Ferruccio Busoni, tratto principalmente da Marlowe, non da Goethe, si conclude con la prospettiva che la discendenza nata dall’unione tra Faust e la Duchessa di Parma porti, un giorno lontano, alla redenzione. Non solo ma il ruolo del Dottore è affidato ad un baritono mentre quello del Diavolo ad un tenore spinto – con una tessitura quasi ai limiti di quella di un “tenore eroico” wagneriano. C’è quasi un’inversione di ruoli vocali tra il personaggio “positivo” tanto del melodramma quanto del verismo (il tenore) e quello “negativo” o quanto meno “problematico” (il baritono). Busoni non completò il lavoro, la cui prima esecuzione a Dresda nel 1925, con la concertazione di Fritz Busch, avvenne un anno dopo la sua morte. Le esecuzioni più recenti utilizzano principalmente un nuovo completamento realizzato da Anthony Beaumont nel 1982 su schizzi originali del compositore.
L’opera è in repertorio in teatri tedeschi e francesi (specialmente dopo una magnifica edizione dell’Opéra National de Lyon nel 1998, ripresa al Festival di Salisburgo e su molti altri palcoscenici) nonché in quelli americani dopo una produzione di gran successo alla San Francisco Opera nel 2004. All’inizio degli Anni Ottanta, ne ascoltai una versione integrale, ma in forma di concerto, al Kennedy Center di Washington.
E’ un lavoro singolare, strutturato in due “preludi” (in effetti, due prologhi), un “intermezzo”, tre “scene” ed un “epilogo”. Da un lato, è prodotto tipico del proprio tempo, con molti punti in comune (ad esempio, il ruolo della riscoperta polifonia) con Palestrina di Hans Pfiztner e Mathis Der Mahler di Paul Hindemith. Da un altro, utilizza materiali cromatici per dare una più profonda prospettiva acustica e giungere a sonorità nuove ed inusuali. Il protagonista è indubbiamente il Dottore che ha una parte molto più lunga di quella di Mefistofele, ma è un Dottore affascinato dall’occulto (con le sue arti mediatiche dialoga con Cagliostro, Don Giovanni, il Mago Merlino e pure Zarathustra). Il Diavolo, tuttavia, rappresenta la razionalità – che travia (chi può, e vuol, essere traviato) e castiga.
Occorre ricordare che nel marzo 2009 Francesco La Vecchia e l’Orchestra Sinfonica di Roma non avendo le risorse per mettere in scena il Doktor Faust hanno avuto una grande idea nel riproporre, dopo lustri, lo smisurato concerto per orchestra, piano e coro maschile di Ferruccio Busoni, una composizione vastissima (e virtuosistica) raramente eseguita sia per le difficoltà che comporta sia per la durata (circa un’ora e 20 minuti). Composto nel 1904, è probabilmente il lavoro orchestrale di Busoni più conosciuto. Busoni per metà della sua vita attese alla composizione di questo concerto e per l’altra metà a quella del Doktor Faust . Due lavori intimamente legati l’uno all’altro.
Il concerto si articola in maniera anomala rispetto agli standard classici. Dopo lunga preparazione (quattro movimenti per circa un’ora di musica), il messaggio spirituale è affidato al coro – il Befehl, l’invito ad essere felici, mirando la divinità nella sua forza e nel suo divenire esistenziale. Busoni non era un credente: il divenire esistenziale diventa il suo Dio tanto in questo sterminato concerto quanto in Doktor Faust. Dopo la frenesia del quarto movimento (una tarantella da eseguire per un pianista a ritmi al limite dell’impossibilità per la velocità e la pulizia richieste), l’orchestra tace quasi di colpo, e due note musicale ripetute introducono al “cantico”, quinta ed ultima parte. L’invito è un’affermazione categorica da morale kantiana.
Doktor Faust è un lavoro eminentemente filosofico. La filosofia si comunica meglio con un concerto che con un’”azione scenica”. In questo senso, i due lavori sono quasi complementari. Per questo motivo, ho nutrito più di un’apprensione quando ho letto che la regia dell’opera è curata da Davide Livermore, con il suo consueto creative team (Giò Forma per le scene, Mariana Fracasso per i costumi, Fiammetta Baldisseri per le luci, D-work per i video). Devo ammettere che mi sono ricreduto: scene, costumi, luci, effetti speciali, regia e video sono perfetti e si adattano a menadito sia ai due più astratti dei due “prologhi” sia all’”azione scenica”, ambientata (correttamente) negli Anni Venti del secolo scorso. A perfect fit, si direbbe in lingua inglese. Grande attenzione alle sfumature, specialmente nell’interazione tra il Dottore ed il Diavolo.
La concertazione era affidata a Cornelius Meister, che ha al suo attivo vari Ring wagneriani, anche a Bayreuth. L’orchestra, nutritissima, è stata splendida, specialmente nell’“intermezzo sinfonico” in cui ha dato prova di tutta la sua capacità e versatilità. Il coro, preparato da Lorenzo Fratini ha quasi un ruolo da protagonista nell’”azione scenica”: di grande livello sia nel canto sia nella presenza drammaturgica.
Numerosissimi i solisti. Impossibili citarli tutti. Dietrich Henschel è Doktor Faust, un ruolo che ha interpretato più volte dalla riprese a Lione. E’ un baritono morbido ed affascinante che considero l’erede di Dietrich Fischer-Dieskau. Propone, con successo, un Faust tormentato che nell’ultima scena riacquista la speranza e la trasmette al pubblico in sala.
Mefistofele è David Brenna, che ricordo in Die Soldaten di Bernd Alois Zimmerman sia a Salisburgo sia alla Scala. Tenore di grandi capacità: più volte Siegfried in varie produzioni del Ring wagneriano, in questo Doktor Faust, ha primeggiato per tessitura e fraseggio.
L’ucraina Olga Bezsmertna, un soprano lirico di scuola austro-tedesca, spesso alla Scala, è una seducente duchessa di Parma.
Un vero spettacolo da Festival, di cui occorre ricordarsi all’assegnazione del Premio Abbiati. Doktor Faust ha aspettato ottanta anni per tornare a Firenze. È ora che i fiorentini si ricordino di un altro capolavoro dimenticato: Ulisse del loro concittadino Luigi Dallapiccola. Manca dalla città del giglio da oltre mezzo secolo.
Teatro pieno. Moltissimi applausi ed acclamazioni.
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