Oggi, giovedì 20 agosto inizia il Festival di Spoleto, il primo dei grandi festival internazionali in Italia nati dopo la seconda guerra mondiale. La prima edizione è stata nel 1958 e per diversi anni è stato effettivamente un festival dei due mondi in cui giovani artisti americani veniva a cimentarsi sulla scena e dove grandi artisti europei, spesso lavorando gratis, presentavano produzioni innovative,
Quest’anno, a ragione dell’emergenza sanitaria, non si possono utilizzare che otto luoghi di spettacolo (di cui quattro al chiuso che in passato animavano per due settimane la cittadina umbra). Verranno presentate otto produzioni, ciascuna una volta sola, in luoghi all’aperto e con le regole di rito: L’Orfeo di Monteverdi il 20 agosto a Piazza Duomo, il 21 agosto I Messageri di Emma Dante al Teatro Romano, il 22 agosto Arianna, Fedra, Didone di Silvia Colasanti e Isabella Ferrari a Piazza Duomo, il 23 Pianoforte di Beatrice Rana al Teatro Romano, il 27 agosto Maria Callas Lettere e Memorie di Monica Bellucci al Teatro Romano, il 28 agosto Le creature di Prometeo/Le creature di Capucci di Ludwig van Beethoven e Roberto Capucci in Piazza Duomo, il 29 agosto Le Sirene lette da Luca Zigaretti, il 30 agosto Concerto Finale diretto da Riccardo Muti con l’Orchestra Cherubini in Piazza Duomo, Programma scarno ma interdisciplinare e di qualità.
E’ questo l’ultimo anno in cui la direzione del Festival è affidata a Giorgio Ferrara, regista principalmente di teatro, di cinema, di televisione ma soprattutto personalità di grande cultura e di vaste relazioni con il mondo internazionale dello spettacolo dal vivo. Prima di assumere l’incarico aveva lavorato a lungo in Francia, dove era stato, tra l’altro, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi.
Ferrara ha preso in mano un festival che, negli ultimi anni di vita del fondatore, era in declino. Con lui, è in un certo qual modo cambiato l’orientamento del festival ed anche il nome diventando «Spoleto Festival-dei Due Mondi». Negli anni, la partnership culturale Italia-America si era via via affievolita, anche perché i giovani artisti americani non avevano più bisogno di una pista di lancio in Italia per affermarsi in Europa e da lì arrivare a posizioni di prestigio sull’altra sponda dell’oceano Atlantico. Nel contempo, inoltre, i «teatri di repertorio» soprattutto di Austria e Germania avevano stretto accordi con Music Schools delle maggiori università americane per accaparrarsi le migliori giovani voci ed i migliori giovani artisti degli Stati Uniti con contratti triennali. Alcuni conservatori americani, infine, tenevano vere e proprie piccole stagioni estive in città d’arte (come l’Oberlin College ad Arezzo). Un grande direttore d’orchestra americano, James Conlon, è stato uno stretto collaboratore del festival nell’ultimo decennio, ma non né un giovane (classe 1950) né una scoperta. Anche un grande regista italiano, Luca Ronconi (1933-2015) ha collaborato a lungo con la manifestazione; anche lui non era giovane e non hai mai avuto quel tocco americano che non è mai mancato né a Chéreau né a Visconti, per non nominare Menotti.
Per molti aspetti, la struttura del festival restò immutata come originalmente progettata da Menotti, Barber, Schippers, Robbins, Kirstein, e Zirato con importante allestimento d’opera iniziale ed un «concerto in piazza» finale e un contenuto multidisciplinare tra questi due eventi. Tuttavia, pur mantenendo i «concerti di mezzogiorno» cameristici e alcuni direttori e complessi della grande sinfonica, la musica in generale e l’opera in particolare ebbero gradualmente un minor peso relativo rispetto alle altre arti sceniche, soprattutto prosa e balletto. Si aggiunsero, poi, altre forme di spettacolo come conferenze, dibattiti, confronti. Queste constatazioni si basano su un esame dei programmi degli ultimi dieci anni, presentati con ricchezza di foto in un volume del Touring Club nell’autunno 2019 e, comunque, esaminabili nell’archivio del festival disponibile sul sito web della manifestazione. I mutamenti di orientamento sono comprensibili soprattutto a ragione del cambiamento del contesto come tratteggiato nel paragrafo precedente.
Sin dal 2008 si percepirono i cambiamenti. L’opera inaugurale era Padmâvatî di Albert Roussel, una novità per l’Italia, lavoro del Novecento storico francese in una produzione del Théâtre du Châtelet, spettacolo interessante, grandioso ed apprezzato ma molto differente da quelli che avevano espresso lo spirito originario del «Festival dei Due Mondi». Un’importazione dagli Stati Uniti – Gianni Schicchi di Puccini con la regia di Woody Allen (proprio la stessa produzione che nel luglio 2019 si è vista al Teatro alla Scala affidata ai giovani dell’Accademia) – proveniente dalla Los Angeles Opera – ha inaugurato l’edizione del 2009. Un grande fremito di novità nel 2010 quando è stata presentata l’opera di uno dei maggiori compositori contemporanei, Hans Werner Henze, Go No Heiko –Il Sapore della Gloria, con un libretto in lingua giapponese tratto da un romanzo di Yokio Mishima ed in cui Giorgio Ferrara si è cimentato per la prima volta con la regia lirica, riscuotendo successo ed apprezzamenti.
Si è parlato della video opera contemporanea coprodotta con il «Ravenna Festival». Di grande rilievo anche le due opere – Minotauro e Proserpine – ed il requiem di una delle maggiori compositrici contemporanee, Silvia Colasanti. È doveroso, però, dire che per quanto si trattasse di lavori nuovi di zecca e commissionati dalla manifestazione, si andava sul sicuro a ragione del grande successo avuto anni prima dalla Colasanti con Le Metamorforsi che ha debuttato al Maggio Musicale Fiorentino nel 2012 con un esito tale da essere ripresa in stagione da Firenze Opera.
Per la musica lirica è stata anche effettuata un’intelligente politica di coproduzione. Di Ravenna si è accennato; altri lavori sono stati co-prodotti con il Teatro Coccia di Novara e con il Festival di Cartagena.