Dopo circa dieci anni di difficoltà, il Festival di Spoleto (originariamente chiamato il Festival dei Due Mondi, Italia e Stati Uniti) è stato rinnovato con un grande cambiamento manageriale nel 2007. Ho frequentato il Festival abbastanza speso fino alla metà degli anni novanta del XX secolo. Poi ho cominciato a seguire il Festival di Aix en Provence che si occupa solo di musica e soprattutto opera; di conseguenza, è più vicino ai miei gusti. I due festival sono programmati nello stesso periodo dell’anno ed è difficile andare ad ambedue. Quest’anno sono tornato in particolare per vedere e ascoltare l’opera Proserpine di Silvia Colasanti, una giovane compositrice che mi ha affascinato con il suo lavoro Le Metamoforsi al Maggio Musicale Fiorentino cinque anni fa.



Poche parole sul Festival, giunto alla sua 62esima edizione. Si tratta di una manifestazione multidisciplinare di due settimane (quest’anno dal 28 giugno al 14 luglio) che, in questa edizione, comprende un’opera lirica, concerti sinfonici e di musica da camera, prosa, danza e arti visive. Spoleto ha svariati spazi scenici e ci sono circa otto spettacoli al giorno. Non è più un evento dove (come originariamente concepito) giovani artisti americani si esibiscono in Italia con registi di prim’ordine. È principalmente un Festival europeo; ora compete con molti altri festival che nel 1958, quando ha cominciato, non esistevano. Opera e musica in generale hanno meno importanza nel suo programma che in passato, quando il Festival era diretto dal suo creatore, il compositore Gian Carlo Menotti. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, alcune delle sue produzioni di opera sono stati viste in altri teatri italiani e all’estero. Un segno di successo.



Proserpine è stato, il 28 giugno, l’evento inaugurale del Festival. Sono stato alla rappresentazione del 30 giugno al Teatro Nuovo Giancarlo Menotti. Proserpine è un dramma di Mary Shelley, scritto in collaborazione con Percy Shellley. Non ha alcun collegamento con l’opera con lo stesso titolo di Camille Saint-Saëns recentemente rilanciata con successo a Monaco di Baviera e recensita su questa testata nel 2016. Il lavoro di Shelley è una ‘tragedia pastorale’ centrata sui personaggi mitologici di Proserpina e di sua madre Cerere. La trama tratta del rapimento di Proserpina da parte di Plutone e dell’intervento di Giove, padre di Proserpina. Giove ordina a Plutone di permettere alla fanciulla di tornare sulla terra in primavera e in estate e di vivere con il suo sposo infernale in autunno e in inverno. Lo scopo del mito era di spiegare l’alternarsi delle stagioni. Mary Shelley utilizza il mito per sviluppare le sue idee sull’ambiguità di sentimenti – in particolare le emozioni materne e filiali – e sull’ambivalenza degli esseri umani. Scrisse il poema drammatico immediatamente dopo Frankestein. Come molte donne dopo di lei, Shelley esplora il mito di Proserpina per discutere il rapporto madre-figlia, una vera e propria ossessione per lei



Il libretto è in inglese e utilizza versi di Mary Shelley. Con qualche riduzione, la “tragedia pastorale” è stata adattata da René de Ceccaty e Giorgio Ferrara (che è anche regista teatrale della produzione) per diventare un’opera di settanta minuti in due brevi atti. Si apre con un’ouverture che imposta l’azione. Tra i due atti, non c’è pausa ma un interludio orchestrale, raffigurante il ratto di Proserpina. La scena (di Sandro Chia) è semplice ma efficace. I costumi di Vincent Daré sono piuttosto elaborati quasi a ricordare quelli delle tragedie greche. Molto buona l’illuminazione di Fiammetta Baldisseri; una parte essenziale della produzione. La musica e le parole (in inglese) sono fuse in modo che ogni dettaglio può essere ascoltato e apprezzato. Farebbe piacere a un pubblico di lingua inglese più di uno per lo più italiani. Sarebbe un buon acquisto per Opera North o per la English National Opera, oppure ancora per un Festival in Gran Bretagna.

La partitura è come un ricamo elegante con una sapiente orchestrazione e ben bilanciata scrittura vocale. Non si tratta di un punteggio sperimentale ma un buon pezzo di musica dove i temi principali sono intrecciati e possono essere facilmente suonati dall’orchestra così come riconosciuti dagli ascoltatori. In buca, c’è l’Orchestra Giovanile Italiana; loro membri provengono, da-e-grande, dalla scuola di musica di Fiesole, un’istituzione molto fine. Sono magistralmente diretta da Pierre-André Valade.

La parte vocale è affidata ad un cast internazionale. La protagonista è un giovane e molto interessante soprano Disella Lárusdottir; nella prima parte, sfoggia coloratura parte mentre diventa quasi un soprano drammatico malinconico nella seconda, dopo il suo rapimento da parte di  Plutone. Sua madre, Cerere, è il mezzo soprano  Sharon Carty, che si è fatta il suo nome presso il Barbican Theatre, al Festival di Wexford ed all’Opera nazionale olandese; La sua Ceres è molto drammatica e molto moderna. La ninfa sognatrice Arethusa è il mezzosoprano polacco-italiano Katarzyna Otczyck. Le amiche di Proserpina e Cerere sono il soprano drammatico scuro Anna Patalong, l’alto Silvia Regazzo e il soprano Gaia Petrone; il trio contrappunta il dramma tra madre e figlia. Il baritono Lorenzo Grante è la unica voce  maschile nell’opera: Ascalafo, terrificante messaggero di Plutone.

Il teatro era pieno. La maggior parte del pubblico era venuto da Roma. Alcuni dall’estero.

Hanno applaudito calorosamente i cantanti, l’orchestra e il team creativo. E’ scoppiata in ovazione quando è apparsa la compositrice.