Sulla carta meno spumeggiante delle passate edizioni, il Festival di Venezia 2019 non ha deluso. Anzi: si è superato. La 76a Edizione della Mostra del Cinema ha regalato tantissime sorprese e pochissimi flop: la qualità ha avuto la meglio sulle polemiche, che non sono di certo mancate. Senza troppi giri di parole, partiamo dal dato più rilevante: il Leone d’Oro è stato assegnato a Joker, diretto da Todd Phillips e interpretato dal sublime Joaquin Phoenix. Noi ve lo avevamo detto subito: un capolavoro destinato a recitare un ruolo da protagonista agli Oscar 2020. Ma anche a Venezia 76: il riconoscimento più importante è andato a un prodotto Warner Bros., che ha vinto la scommessa di presentare (per la prima volta in assoluto) un lungometraggio in competizione a un Festival. Uno dei titoli della stagione che non ha deluso le attese e che farà – giustamente – fortune al botteghino, dopo aver messo d’accordo una giuria “indie oriented” come quella presieduta dall’argentina Lucrecia Martel.



Coraggiosa la Warner Bros., come dicevamo, ma sarebbe ingiusto non citare Alberto Barbera. Il direttore – sempre più social, dove si presta volentieri al confronto con gli appassionati – è il grande artefice del successo del Festival di Venezia e, dopo le scommesse delle edizioni passate, ha inanellato un altro grande successo. Sebbene Barbera neghi l’esistenza di una rivalità con «l’amico Thierry», Venezia e Cannes negli ultimi anni hanno dato vita a uno scontro all’ultimo film e il Lido ha “avuto la meglio” sulla Croisette spesso e volentieri. Grande promotore della VR, l’ex direttore del Museo nazionale del cinema di Torino è stato il primo a puntare su Netflix, in controtendenza rispetto a Fremaux: un anno fa è arrivata la vittoria del bellissimo Roma di Alfonso Cuaron, quest’anno sono stati presentati in concorso lavori di altissima qualità come The Laundromat di Steven Soderbergh e Marriage Story di Noah Baumbach, senza dimenticare The King di David Michod. E, a partire dal 2013, chi dice Venezia dice Oscar: il Lido ha rappresentato un trampolino di lancio in vista degli ambiti premi conferiti dall’Academy, basti pensare a La La Land od a The Shape Of Water. La Barbera revolution è destinata ad entrare nella storia.



 

Mattatore assoluto del Festival di Venezia, Alberto Barbera ha dovuto fare i conti anche con vibranti polemiche. Due i principali temi di scontro: la scarsa presenza di registe in concorso e la selezione di J’accuse, nuovo film di Roman Polanski. Ad alimentare la tensione ci ha pensato Lucrecia Martel, che nella conferenza stampa del Day 1 ha dato vita ad un acceso e sorprendente botta e risposta con il direttore della Mostra del Cinema. Controversie – alimentate anche dalla stampa americana – abbastanza stucchevoli. Le “quote rosa” non avrebbero infatti molto senso nei Festival, perchè questi rappresentano l’ultima tappa del percorso di un film: come indicato anche da Susanna Nicchiarelli e Costanza Quatriglio, la suddivisione 50%-50% sarebbe più utile nell’ammissione nelle scuole di cinema e nell’accesso ai finanziamenti. Diatriba altrettanto smaccata quella legata alla presenza (per modo di dire, visto che non si è visto al Lido neanche in collegamento via Skype) di Roman Polanski: come già evidenziato, la storia del cinema e dell’arte in generale è piena di artisti che hanno commesso crimini, ma non per questo abbiamo smesso di prendere in considerazione e ammirare le opere che hanno prodotto.



Torniamo a parlare di cinema, ripartendo dall’ultimo regista citato e dal suo ultimo – l’ennesimo – capolavoro: J’accuse è uno dei migliori film della cinematografia di Roman Polanski e sono pochi i dubbi sul fatto che rientri (almeno) tra i tre migliori del Festival di Venezia 2019. La ricostruzione del caso Dreyfus è esemplare, il cast sforna interpretazioni magistrali e la regia è semplicemente sopraffina. Un’altra pellicola più che convincente è Martin Eden di Pietro Marcello, liberamente tratto dall’omonimo romanzo del 1909 scritto da Jack London: il film della maturità del regista campano con un Luca Marinelli in stato di grazia, tanto da meritare la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Marcello, insieme a Roberto Minervini e Alice Rohrwacher, rappresentare il futuro della settima arte italiana. Senza dimenticare gli altri due lungometraggi nostrani presenti nel concorso Venezia 76: Il sindaco del Rione Sanità di Mario Martone, che ci mostra le due facce di Napoli secondo De Filippo, e La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco, che dopo Belluscone – Una storia siciliana torna al Lido e ottiene il Premio speciale della giuria con un documentario tragicomico da leccarsi i baffi.

Tra le tantissime note positive troviamo il film d’apertura La vérité di Hirokazu Kore-eda, un family drama con le strepitose Catherine Deneuve e Juliette Binoche, e il fantascientifico Ad Astra di James Gray, trainato da un Brad Pitt cupo e misterioso. Il film scandalo del Festival di Venezia 2019 è stato sicuramente The Painted Bird di Vaclav Marhoul: tratto dal famoso romanzo di Jerzy Kosinski, racconta l’orrore del male attraverso la storia di un ragazzino in fuga dal nazismo, destinato a fare i conti con le peggiori angherie di cui è capace l’uomo. Un ottimo lavoro ma magari non proprio adatto a tutti. Da segnalare il ritorno della straordinaria Gong Li con Saturday Fiction, spy drama di Lou Ye che ammalia lo spettatore per sceneggiatura e fotografia. Deludenti, invece,  Wasp Network di Olivier Assayas e The Perfect Candidate di Haifaa Al Mansour, così come Gloria Mundi di Robert Guediguian.

Lasciando un attimo da parte il concorso principale, doveroso citare un altro film italiano degno di nota: presentato nella sezione Sconfini, Effetto Domino di Alessandro Rossetto ci conduce nel Nord-Est e ci propone un’analisi cruda e netta sui rischi del mondo globalizzato e sulla supremazia del Dio denaro, capace di ridurre in brandelli un intero sistema (famiglie comprese). Ottimo esordio per Carlo Sironi con Sole, in concorso nella sezione Orizzonti, da sempre terra di talenti: tra i tanti segnaliamo Rodrigo Sorogoyen e Valentyn Vasyanovych, registi rispettivamente di Madre e Atlantis (premiato come miglior film). Tra gli eventi più attesi del programma, stuzzicanti le prime anticipazioni delle due serie televisive presentate in anteprima: sia The New Pope di Paolo Sorrentino che Zero Zero Zero di Stefano Sollima promettono un gran bene.

Tantissimi i titoli meritori di attenzione, ai quali possiamo aggiungere il “logico-straniante” Irreversible – Inversion Integrale di Gaspar Noè e You Will Die At Twenty di Amjad Abu Alala (vincitore del Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”), con un’unica pecca enorme: la presenza dell’inutile e propagandistico Chiara Ferragni – Unposted di Elisa Amoruso, un documentario (?) che somiglia più ad un’Instagram Stories. Giudizio negativo per Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores – Claudio Santamaria nettamente insufficiente – e Vivere di Francesca Archibugi.

Appuntamento alla prossima edizione, Venezia 77!