Si apre oggi al Lido di Venezia la 78ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica organizzata dalla Biennale di Venezia.
Al momento i riflettori sono decisamente puntati più sul Fuori Concorso che sulla competizione vera e propria, vista la proiezione in prima mondiale venerdì 3 settembre di Dune del franco-canadese Denis Villeneuve, il regista – tra gli altri – di La donna che canta (2010), Sicario (2015), Arrival (2016) e Blade Runner 2049 (2017): tratto dall’omonimo romanzo fantascientifico (1965) di Frank Herbert – di cui il film intende adattare la sola prima parte – e interpretato da Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Zendaya, Jason Momoa, Dave Bautista, Josh Brolin, Oscar Isaac, Javier Bardem, Stellan Skarsgård e Charlotte Rampling, è da più parti visto come il nuovo Tenet (2020), stando al senso di attesa che lo circonda (anche per le future sorti della fruizione cinematografica).
Come invece di consuetudine, sarà una Giuria internazionale quella chiamata a valutare i ventuno lungometraggi presenti nel Concorso e che nello specifico dovrà selezionare quelli cui assegnare i seguenti premi ufficiali: il Leone d’Oro per il miglior film, il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria, il Leone d’Argento – Premio per la migliore regia, le Coppe Volpi per le migliori interpretazioni maschile e femminile, il Premio Speciale della Giuria, il Premio per la migliore sceneggiatura e il Premio Marcello Mastroianni a un/a giovane attore/attrice emergente.
Quest’anno la Giuria è costituita dal regista e sceneggiatore italiano Saverio Costanzo, dall’attrice franco-belga Virginie Efira, dall’attrice teatrale e cinematografica, cantante e compositrice britannica Cynthia Erivo, dall’attrice e produttrice canadese Sarah Gadon, dal regista rumeno Alexander Nanau, dalla regista, sceneggiatrice, montatrice e produttrice cinese Chloé Zhao (Leone d’Oro e Oscar 2020 per Nomadland) e dal regista e sceneggiatore sudcoreano Bong Joon-ho (Palma d’oro e Oscar 2019 per Parasite), che ne è anche il presidente.
Tra i titoli inseriti nel Concorso (e proiettati in anteprima mondiale), si trovano le ultime fatiche dietro la macchina da presa di Pedro Almodóvar (Madres paralelas), Jane Campion (The Power of the Dog), Pablo Larraín (Spencer) e Paul Schrader (Il collezionista di carte), senza dimenticare quelle di una folta pattuglia di autori italiani: Paolo Sorrentino (È stata la mano di Dio), Mario Martone (Qui rido io), Gabriele Mainetti (Freaks Out), Michelangelo Frammartino (Il buco) e i fratelli gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo (America Latina).
Pedro Almodóvar arriva al Lido a due anni di distanza dal film Dolor y gloria presentato a Cannes 2019 ma soprattutto dal Leone d’Oro alla carriera a Venezia 2019; Jane Campion – Palma d’oro a Cannes 1993 per Lezioni di pianoTop of the Lake – Il mistero del lago (2013-7), da ben dodici anni: la sua precedente opera per il grande schermo è infatti Bright Star (2009); Pablo Larraín affronta un’altra biografia tutta al femminile – quella di Lady Diana – dopo che a Venezia 2016 il suo Jackie – dedicato alla first lady statunitense Jacqueline Kennedy – si è aggiudicato il Premio Osella per la migliore sceneggiatura, andato a Noah Oppenheim; Paul Schrader – classe 1946, prima critico e saggista, poi sceneggiatore per Martin Scorsese di Taxi Driver (1976), Toro scatenato (1980), L’ultima tentazione di Cristo (1988) e Al di là della vita (1999) e anche regista, tra gli altri, di American Gigolo (1980), Lo spacciatore (1992) e Affliction (1997) – aveva invece già presentato in Concorso a Venezia 2017 il suo First Reformed – La creazione a rischio, rimasto senza riconoscimenti importanti ma apprezzato dalla critica e grazie al quale ha poi centrato, per la prima volta in carriera, una candidatura all’Oscar per la migliore sceneggiatura originale.
Passando alla nutrita rappresentanza nostrana, l’altrove pluripremiato Paolo Sorrentino porta a Venezia quello che definisce «un racconto di formazione […] attraverso una messa in scena semplice, scarna ed essenziale e con musica e fotografia neutre e sobrie»; dopo Noi credevamo (2010), Il giovane favoloso (2014), Capri-Revolution (2018) e Il sindaco del Rione Sanità (2019), Mario Martone, che esordì proprio a Venezia con Morte di un matematico napoletano (1992) conquistando il Leone d’Argento – Gran Premio della giuria, ci torna (e ancora in Concorso) con «l’immaginario romanzo di Eduardo Scarpetta [interpretato da Toni Servillo, ndr] e della sua tribù»; dal canto suo, Gabriele Mainetti è invece alla sua seconda opera, «un racconto d’avventura, un romanzo di formazione e – non ultima – una riflessione sulla diversità», dopo il successo sia di critica che di pubblico del suo film d’esordio, Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), che si era guadagnato sette David di Donatello (tra cui quelli per il migliore regista esordiente e il migliore produttore andati a Mainetti stesso); Michelangelo Frammartino presenta il suo terzo lungometraggio in carriera, «un progetto nel buio silenzioso dell’Abisso del Bifurto», dopo Il dono (2003) e Le quattro volte (passato nella “Quinzaine des réalisateurs” a Cannes 2010), mentre anche i D’Innocenzo sbarcano al Lido con il loro terzo film – dopo La terra dell’abbastanza (inserito nella sezione “Panorama” a Berlino 2018) e Favolacce (Orso d’argento per la migliore sceneggiatura a Berlino 2020) – su di «un uomo costretto a rimettere in discussione la propria identità».
Con il Leone d’Oro alla carriera 2021 che verrà consegnato a Roberto Benigni nella cerimonia di apertura di stasera, questa Mostra sembra partire sotto i migliori auspici per il nostro cinema: si vedrà solo durante la cerimonia di premiazione di sabato 11 settembre se sarà davvero così.