28 dicembre 1895, Parigi, Boulevard des Capucines 14. Nel Salon indien, una piccola sala nello scantinato del Grand Café presa in affitto dalla ditta Lumière, si tiene la prima proiezione del cinématographe: una decina di scene, della durata complessiva di venti minuti, accompagnate dalle note di un pianoforte, a favore di una trentina di spettatori. Georges Méliès, invitato a uno dei programmi, in presenza di quel telo, ricorda come «dopo qualche istante comparve una fotografia ferma della piazza Bellecour di Lione. Un po’ stupito, mi girai verso il mio vicino per dirgli: “E ci hanno scomodati solo per farci vedere delle proiezioni? È da più di dieci anni che ne faccio”. Non avevo neanche finito di parlare, quando vidi avanzare verso di noi un cavallo che trainava un furgone, seguito da altre carrozze, poi da passanti. Insomma, tutta l’animazione di una strada. Di fronte a quello spettacolo restammo ammutoliti, a bocca aperta, meravigliati oltre ogni dire». Secondo un giornalista colpito dalle stesse immagini, «la morte smetterà di essere assoluta».
30 agosto-9 settembre 1995, Lido di Venezia, 52ª Mostra internazionale d’arte cinematografica. La data del 28 dicembre è ormai prossima e con essa il primo centenario del cinema – se non come invenzione del mezzo tecnico, almeno come spettacolo di carattere pubblico e con ingresso a pagamento – e il Festival diretto da Gillo Pontecorvo non manca di celebrare la ricorrenza. Tra i Leoni d’oro alla carriera assegnati in un anno così simbolico, legato ai (primi) cento anni dell’arte che ha finito per segnare il Novecento, figurano Woody Allen, Alain Resnais, Martin Scorsese, Giuseppe De Santis, Goffredo Lombardo, Ennio Morricone, Alberto Sordi e Monica Vitti. In particolare, per il cineasta-cinefilo Scorsese si tratta di un periodo significativo: il suo ultimo film, Casinò, sta per uscire nelle sale statunitensi (tra il 16 e il 22 novembre, dopo l’anteprima del 3 aprile a New York) mentre grazie al British Film Institute ha realizzato insieme a Michael Henry Wilson e trasmesso nel Regno Unito il documentario televisivo A Personal Journey with Martin Scorsese Through American Movies (arrivato poi in Italia come Un secolo di cinema – Viaggio nel cinema americano di Martin Scorsese), una testimonianza di quale e quanto amore entusiasta e sconfinato egli nutra per le storie del grande schermo, sia del passato che del presente, e con quale e quanta attenzione puntuale e appassionata riesca a parlare dei film di altri colleghi, sia di ieri che di oggi.
Come scrive Alberto Farassino, «[f]in “dall’età della ragione” Martin Scorsese aveva due modelli che poteva decidere di seguire: i gangster e i preti. Ci dice che scelse di diventare prete. Diventò invece regista cinematografico, ma forse la cosa non era così diversa: “Quando ero bambino la messa e i cinema mi sembravano due esperienze in qualche modo simili. La messa è lo stesso film programmato ogni giorno”. O forse fare il regista era il compromesso fra le due scelte possibili: forse per fare del cinema bisogna essere un po’ gangster e un po’ preti. Praticare insieme la violenza e la fede, la rissa e il rito».
Arrivato a questo punto di una carriera iniziata nella seconda metà degli anni Sessanta, il quasi cinquantatreenne regista, sceneggiatore e produttore italoamericano ha in bacheca una Palma d’Oro per Taxi Driver (1976), il premio per la migliore regia a Cannes per Fuori orario (1985) e il Leone d’argento per la miglior regia per Quei bravi ragazzi (1990). Ma è il riconoscimento di casa, quello dell’Academy, che continua a sfuggirgli di mano: vanta tre nomination quale migliore regista per Toro scatenato (1980), L’ultima tentazione di Cristo (1988) e Quei bravi ragazzi; per quest’ultimo e per L’età dell’innocenza (1993) ha ottenuto anche la candidatura per la migliore sceneggiatura non originale, condivisa nel primo caso con Nicholas Pileggi e nel secondo con Jay Cocks.
Eppure, come nel caso dei grandi artisti, la vita – con le passioni che ne intessono la trama – non può essere separata da quello che è il proprio lavoro. Ecco perché nel 1990 questo stato di cose non l’aveva certo fatto desistere dal fondare – insieme a illustri colleghi (fra cui un altro Leone d’oro alla carriera del 1995, Woody Allen) – e dal presiedere la Film Foundation per assicurare la sopravvivenza del patrimonio filmico statunitense, attraverso la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, il recupero dei fondi necessari, l’incoraggiamento di diversi progetti di restauro e l’uso di tecniche a protezione e a garanzia anche delle pellicole più recenti: «Io amo i film. Sono la mia vita, e questo è tutto», firmato Martin Scorsese. Un Leone (d’oro) della settima arte da allora fortunatamente ancora in circolazione.