La chiamano “sussidiarietà orizzontale”, e fondamentalmente si basa su una proposta: cambiare cultura e regole delle relazioni economiche tra amministrazioni pubbliche e imprese sociali per dare all’economia sociale lo spazio che merita. Ma oggi occorre anche inquadrare il tutto nella prospettiva generata dalla crisi pandemica (seguita oggi dalla guerra), quando si è preso atto della fragilità del sistema e della valenza delle reti solidali, forti di quasi sei milioni di volontari, oltre a un milione di lavoratori.
Al Festival Economia di Trento terminato ieri (“Tra ordine e disordine”), l’altro giorno si è parlato del ruolo dell’economia sociale alla prova dei mercati. Per la verità, come ha osservato il segretario generale di Euricse Gianluca Salvatori, una crisi dopo l’altra ha portato il mercato a una vera autodiagnosi, e ha mostrato i propri limiti. E una via alternativa: la collaborazione tra “cittadini associati”, istituzioni pubbliche, il privato for profit, per arrivare all’attuazione dell’interesse generale.
“È un modello che va oltre il Terzo settore – ha affermato il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini – è come se i cittadini si prendessero sulle spalle un pezzo di problemi del Paese per provare a risolverli in modo collettivo. Nella dicotomia tra Stato e mercato, lo Stato non ha prospettiva di statalizzare, e il mercato non ha prospettiva se non per pochi: diventa quindi necessaria un’economia sociale che sia opportunità di integrazione e ricomposizione delle fratture sociali, in ogni settore, dal welfare alle comunità energetiche”. “Attraverso l’action plan che l’Europa ha assegnato ai Paesi membri – ha affermato in videocollegamento la viceministra del Mef Laura Castelli -, l’Italia può fare qualcosa di grande: misurare l’impatto economico e sociale dell’economia sociale, uno dei modi di fare industria. Nel capitolo di bilancio che prevede risorse per realizzare i punti dell’action plan, il mondo cooperativo recita un ruolo importante per l’apporto che fornisce al territorio”.
Il percorso italiano di riconoscimento dell’economia sociale parte da lontano, addirittura dalla Costituzione, una delle poche “carte” a dedicare un articolo specifico alla tutela e promozione della cooperazione. La vicepresidente della Corte Costituzionale Daria de Pretis ha ricordato, oltre all’art. 45, anche l’art. 118 sulla sussidiarietà orizzontale. “Il perseguimento dei fini pubblici non è appannaggio esclusivo della Pubblica amministrazione – ha affermato -, ma agli stessi fini possono concorrere anche i provati cittadini che si organizzano spontaneamente. Questo è il modello della cooperazione. I cittadini non sono terminali di una esternalizzazione della Pubblica amministrazione, ma compagni di viaggio”.
Parole riprese da Gianluca Salvatori, Segretario generale di Euricse che in questi giorni sta partecipando a Ginevra al convegno dell’organizzazione internazionale del lavoro (OIL) delle Nazioni Unite, secondo cui il bene comune non è esclusiva competenza del pubblico, ma chiama in causa la responsabilità dei cittadini, anche come attori economici. “Fino a pochi anni fa – ha detto Salvatori – l’economia sociale veniva interpellata solo come soggetto riparatore, capace di intervenire solo in ultima istanza. Adesso si pensa di trattare diversamente questo settore, a partire da una fiscalità di favore, ma ci sono volute le crisi del 2008, del 2012, il Covid e ora la guerra. Il Piano di azione (Action Plan) approvato a dicembre è una svolta. La durata è decennale, ci vorrà del tempo, ma il momento è favorevole”.
Antonella Noya, responsabile unità economia sociale e innovazione dell’Ocse (Oecd Trento), ha anticipato che l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sta preparando una “raccomandazione” che dovrebbe essere approvata la prossima settimana dal Consiglio ministeriale dell’Ocse presieduto dall’Italia. “L’Ocse lavora da 25 anni su questi temi. Il nuovo ruolo dell’economia sociale è stato amplificato dalle crisi. Dove l’economia tradizionale perdeva, l’economia sociale resisteva perché basata su valori diversi da quelli del mercato. Lo abbiamo visto anche con l’emergenza Covid, dove l’economia sociale ha dimostrato di essere agile, saper mettersi in rete, trovare soluzioni. L’Italia è un sistema di riferimento, e anche dall’estero si guarda con molto interesse a quello che succede da noi”.
Da Trento sono state rilanciate quattro leggi “per ripartire”: sulle cooperative di comunità, sulle comunità energetiche, sui capitali pazienti per sostenere gli investimenti e il riconoscimento per le banche di Credito Cooperativo, che sono banche diverse dalle altre. Le richieste sono arrivate da Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative. “Pensare che le risorse del Pnrr possano servire a statalizzare e internalizzare i servizi sarebbe l’errore più grande – ha detto -. Noi oggi siamo alle prese con un Paese che ha forti fratture sociali e territoriali, dove il mercato con le sue regole ha determinato conseguenze sulla società. È necessario un patto tra istituzioni e mondo dell’economia sociale, altrimenti rischiamo che si aggravino le fratture. L’economia sociale va oltre il Terzo settore. Lo è una cooperativa agricola che pone la sicurezza alimentare qualitativa e quantitativa. Lo è un workers buy out che ricostituisce un’impresa in default. Lo sono le cooperative di comunità che rappresentano l’ancora di salvezza per 5000 comuni italiani: il 60% del nostro territorio. Le comunità energetiche che rispondono al bisogno di energia. O le piattaforme digitali. Così come avvertiamo la necessità di ricostruire un nuovo sistema di welfare passando dai minori agli anziani. Anche la necessità di ricostruire un sistema sanitario. Occorre mettere in campo le energie migliori a partire dalle fondazioni bancarie. Mancano competenze per progettare e finanziare. Occorre un meccanismo virtuoso, ricordando che l’economia sociale ha un unico obiettivo: far vincere il Paese”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.