Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio, ha voluto commentare la sentenza relativa alla trattativa Stato-Mafia, che ha assolto gli ufficiali del Ros dei carabinieri e Marcello Dell’Utri. L’ha fatto attraverso le colonne del quotidiano “Libero”, sottolineando a chiare lettere che “in questi anni, a proposito del processo trattativa, non ho mai voluto esprimermi, anche se ho sempre avuto molti dubbi e perplessità sulle accuse da parte della Procura. Devo dire che i miei sospetti sono stati confermati dal verdetto della Corte d’appello di Palermo”.



Di fronte alla notizia dell’assoluzione dei generali Mario Mori e Antonio Subranni, la donna ha assistito a una conferma diretta dei suoi sospetti: “Mi chiedevo sempre come fosse possibile che uomini che erano stati al suo fianco potessero essere realmente artefici di una trattativa con gli esponenti di Cosa Nostra, che invece avevano sempre combattuto. Del resto, fu lo stesso Subranni a portare un’informativa all’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco, su un carico di tritolo destinato a mio padre. Ricordo ancora i pugni che mio padre diede sul tavolo quando raccontò a casa che il procuratore non lo aveva neppure avvisato”.



FIAMMETTA BORSELLINO, FIGLIA DI PAOLO: “PROCURA DI PALERMO ERA UN NIDO DI VIPERE”

Nel prosieguo della sua intervista pubblicata su “Libero”, Fiammetta Borsellino ha evidenziato che da anni sta chiedendo di approfondire il clima con cui suo padre Paolo si ritrovò a convivere dentro la Procura di Palermo, che egli stesso aveva definito un “nido di vipere. Mio padre disse a mia madre che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, ma i suoi colleghi che lo avrebbero permesso”.

Pur essendo trascorsi ormai molti anni, Fiammetta Borsellino non si capacita del fatto che nessuno abbia mai voluto fare luce sul perché venne archiviato il dossier appalti, a cui il suo genitore aveva manifestato di tenere moltissimo. Nel dettaglio, si trattava di un’informativa redatta da Mori e dall’allora capitano Giuseppe De Donno con Giovanni Falcone sul rapporto tra mafia, politica e appalti a livello nazionale: “È anche per questo che la tesi della trattativa non mi ha mai convinta. D’altro canto, bisognava farsele delle domande. Io me le ero poste. Oggi una sentenza ci ha dato una risposta di giustizia”.