Secondo alcuni “rumour” pubblicati da Reuters ieri pomeriggio, l’Antitrust Ue avvierà un’indagine approfondita sull’offerta di Fincantieri per la francese Chantiers de l’Atlantique, “per i timori che l’operazione riduca il numero di player europei”. Teniamo presente che l’offerta di Fincantieri è vecchia di quasi due anni e mezzo, in Francia c’era ancora Hollande, e oggi si discute ancora dell’impatto dell’acquisizione “sul mercato europeo delle navi da crociera”. Dopo due anni e mezzo la “sensazione” è che questa operazione non andrà mai in porto nonostante una trattativa tra Francia e Italia in cui si è visto e sentito di tutto. Facciamo anche presente che la società francese è stata messa in vendita per risultati economici non esattamente esaltanti e che l’altra sensazione fortissima è che i francesi preferirebbero di gran lunga un azionista asiatico.



Un’aspirazione comprensibilissima nell’ottica della salvaguardia dei posti di lavoro francesi. Infatti, è infinitamente meglio vendere un’azienda sotto performante a un concorrente asiatico o americano che europeo. Nel primo caso si è praticamente obbligati a mantenere un minimo di presidio e direzione oltre che le “maestranze” in loco, mentre nel secondo caso, da un punto di vista prettamente economico, si può chiudere tutto; oltretutto c’è il mercato unico per cui nessuno può dire niente o alzare barricate.



Mentre assistiamo a questa telenovela che ha un’unica possibile interpretazione, e cioè ovviamente che i francesi non vogliono gli italiani in casa, continuiamo a leggere della necessità di creare colossi europei in settori chiave come la difesa, l’aviazione, la finanza, ecc. La tesi è che in un mondo caratterizzato da una sorta di Guerra fredda tra Stati Uniti e Cina e che diventa sempre più complicato, l’Europa avrebbe come unico scenario razionale quello dei campioni europei. Anche ministri della Difesa italiani hanno palesemente dichiarato di contemplare questa possibilità. In linea teorica, come sempre quando si parla dell’Europa dei nostri sogni, quella dell’ideologia che non ha bisogno della realtà, sarebbe tutto giusto. Il problema è che non solo i Paesi membri hanno obiettivi geopolitici concorrenti che non possono prescindere dal complesso di competenze industriali, ma che questi “campioni europei” vanno bene evidentemente solo se a guida di un numero molto ristretto di Paesi membri; i quali accettano il “sacrificio” necessario in nome del più alto interesse dell’unione solo quando e solo perché possono mettere le mani, dal punto di vista economico o politico, su un gruppo molto più grande che non avrebbero mai potuto ottenere senza il quadro e la scusa dell’”Europa”. Ma d’altronde le modalità con cui è stata nominata la nuova presidente della Commissione europea rivelano cosa sia l’Unione più di dieci anni di articoli di giornale.



L’ineluttabilità del campione europeo e della sua logica, dall’alimentare, alle assicurazioni passando per navi e aerei, va bene solo a certe precisissime condizioni. Evidentemente la fusione tra Fincantieri e Chantiers de l’Atlantique non le soddisfa. Nemmeno dopo due anni e mezzo di trattative, nemmeno dopo due decenni di scorribande “europee” sul suolo industriale italiano, accompagnate da tante legioni d’onore e nemmeno con il Governo più europeista della storia italiana. Quello disposto a tutto pur di eleggere un presidente della Repubblica “europeista”. La domanda vera quindi è cosa significhi essere europeisti oggi nell’anno di grazia 2019.

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