TRIBUNALE DI LUCCA SI APPELLA ALLA CONSULTA SUI FIGLI DI COPPIE GAY: DI COSA SI STA PARLANDO
Dopo Padova anche Lucca solleva il caso presso la Consulta in merito alla mancanza di legislazione e registrazione dei figli di coppie gay: il Tribunale toscano sottolinea l’eventuale incostituzionalità degli articoli 8 e 9 della legge 40/2004 e dell’art. 250 codice civile, in quanto impedirebbero «l’attribuzione al nato dello status di figlio anche alla madre intenzionale, non solo a quella biologica». Dopo i ben noti casi di scontro politico tra tribunale, Comune e Governo a Milano e Padova, ora è Lucca a puntare sulla Corte Costituzionale attendendo una possibile nuova sentenza dopo che già nel gennaio 2021 la Consulta aveva invitato il Parlamento a intervenire sul tema, ritenendo «non più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa».
La Corte invitava a tutelare i bimbi nati da maternità surrogata (utero in affitto) e adottati da coppie gay, o comunque a tutelare tutti i figli di madre biologica e “intenzionale” tramite una legge finora non adottata dallo Stato: il caso specifico di Lucca nasce dalla contesa giudiziaria sul bambino nato con GPA (gestazione per altri) ma registrato come figlio solo della madre effettiva. Secondo il tribunale, con questo Parlamento “inerte” nell’intervenire, tale scenario «risente di rilevanti lacune normative» e in altri casi simili nel resto d’Italia la questione è già stata risolta «diversamente in giurisprudenza, registrandosi un orientamento maggioritario contrario ed un orientamento minoritario favorevole al riconoscimento della cosiddetta maternità intenzionale». Per questi motivi, scrive ancora l’ordinanza del Tribunale di Lucca che rimanda alla Consulta, si sceglie di tornare alla Corte «volendo porre l’attenzione sul disomogeneo intervento dei sindaci come ufficiali di stato civile, i quali hanno adottato, nel silenzio del legislatore, soluzioni distinte per casi speculari»; in alcuni casi hanno rifiutato «l’iscrizione anagrafica anche della madre intenzionale nell’atto di nascita», mentre in altri si è ritenuto legittima l’iscrizione dei figli di coppie gay nei registri comunali. Secondo il Ministero dell’Interno, che è costituito in giudizio, gli atti di stato civile non hanno valore costitutivo di uno status, bensì unicamente di pubblicità e prova: non solo, nel caso della coppia gay di Lucca, «non risulta esservi alcun legame né biologico né genetico tra la madre intenzionale e il minore mentre la fecondazione eterologa è stata effettuata per libera scelta dell’altra donna al di fuori dei casi tassativi previsti dalla L.40/2004 integrata da sentenza della Corte Costituzionale 162/2014».
PRO VITA & FAMIGLIA: “LA CONSULTA DIFENDA DIRITTO DEI FIGLI AD AVERE PADRE E MADRE”
In attesa che la Corte Costituzionale (pendente anche per un’altra sentenza sul suicidio assistito che molto ha fatto e farà discutere) prenda una posizione sul ricorso presentato dal Tribunale in merito alla “rettificazione’ dell’atto di nascita del figlio di coppia gay a Lucca, lo scontro politico non si fa attendere. In pieno appoggio della decisione dei giudici toscani il Centrosinistra e le associazioni LGBTQ, nettamente contrari invece le associazioni cattoliche come Pro Vita & Famiglia.
Come spiega infatti il portavoce Jacopo Coghe, la decisione del Tribunale di affidarsi ala Consulta sul fronte dei figli di coppie gay, mette in campo una tematica chiave per la tutela del diritto familiare: «Auspichiamo che la Corte Costituzionale rigetti la questione di legittimità avanzata dal Tribunale di Lucca sulle norme che vietano di riconoscere come madre di un figlio anche la compagna della donna che lo partorisce, cosiddetta “madre di intenzione”». Se invece la Corte Costituzionale dovesse accogliere l’appello-ricorso del Tribunale e invitare il Parlamento a procedere con l’eliminazione delle suddette norme, ecco che secondo Pro Vita «saremmo di fronte all’ennesimo tentativo di scardinare l’ordinamento giuridico italiano per imporre l’agenda politica Lgbtqia+, scavalcando il Parlamento espressione della sovranità popolare». Secondo l’associazione pro-life, ogni individuo nasce da una donna e un uomo e così ogni figlio ha diritto ad avere un padre ed una madre: «La fecondazione eterologa per coppie dello stesso sesso, fondata su un deplorevole commercio di gameti umani, è illegale in Italia perché scardina il paradigma naturale della genitorialità e della famiglia». Come conclude il portavoce Coghe, in Italia non esiste alcun “diritto ad avere un figlio”, così come non vi è un diritto nell’essere riconosciuti padri o madri di un figlio secondo il disegno-progetto «egoistico familiare che viola tra l’altro i diritti fondamentali di altri esseri umani».