Nel pomeriggio di martedì 5 marzo su molte agenzie di stampa è apparsa la notizia che il Tribunale di Padova aveva respinto i trenta ricorsi con cui la Procura aveva chiesto al Tribunale di cancellare il doppio cognome sugli atti di nascita dei bambini e delle bambine registrati all’anagrafe con il cognome della madre biologica e della cosiddetta mamma intenzionale. I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili, non in merito alla sostanza, ma in merito alla forma. E la distinzione non è da poco. In buona sostanza il Tribunale non è affatto intervenuto sulla possibilità o meno di riconoscere come figli di due madri i bimbi concepiti all’estero da due donne e poi nati in Italia.
I ricorsi sono stati respinti solo per questioni di procedura, come hanno ammesso gli stessi avvocati di parte. In termini tecnici, lo strumento processuale utilizzato per il ricorso non era quello adeguato. E quindi il problema è stato solo rimandato, senza essere stato risolto né in un senso né in un altro; chiaramente i fautori del riconoscimento, compreso l’attuale sindaco di Padova, hanno esultato, pur trattandosi di un semplice rinvio, mentre coloro che sono contrari al riconoscimento si sono chiesti perché mai gli avvocati avessero sbagliato procedura. Per entrambi la risposta è tanto semplice quanto amara: si tratta di una questione del tutto nuova, inedita. Non c’è chiarezza né nei contenuti oggettivi della richiesta, né nelle procedure.
E su questo aspetto vale la pena soffermarsi ancora una volta. Perché al senso comune sfugge come sia possibile riconoscere un bambino come figlio di due madri, essendo del tutto irrilevante che sia stato concepito all’estero e poi sia nato in Italia. Finché il senso comune resterà il meno comune dei sensi il quesito potrà pure rimbalzare di agenzia in agenzia o di tribunale in tribunale, ma resta pur sempre vero che si tratta di un fatto inconcepibile, a chiunque possegga un minimo di conoscenze biologiche. Per fare un bambino ci vogliono, da che mondo è mondo, un padre e una madre, che, sia pure ridotti ai minimi termini, sono pur sempre almeno un ovocita e uno spermatozoo.
Due donne possono amare un bambino in un modo profondissimo, difficile, quasi impossibile dire chi delle due lo amerà di più; certamente lo ameranno in modo diverso, ciascuna secondo la sua personalità e la sua capacità di amare, ma solo una sarà la madre; l’altra resterà una figura di accudimento, probabilmente di straordinaria efficacia. Anche perché stiamo parlando di un neonato, partorito concretamente da una delle due donne e questo è il fatto incontrovertibile. Che l’altra donna possa amarlo come chi lo ha partorito, o perfino di più, e quindi meritare di essere chiamata come la madre, è tutto da dimostrare. Ci vorrà del tempo, un tempo reale di vita insieme, di affetto generoso, di dedizione incondizionata, tutte circostanze che potranno permetterle di adottare questo bambino in un secondo tempo, secondo lo schema previsto dalla legge per le stepchild adoption, le adozioni speciali. Al momento della nascita, se nessun padre si fa avanti per riconoscere come suo questo bambino, l’unica evidenza dei fatti è che è nato da una donna e da una sola donna, e da un padre che non vuole assumersi la sua responsabilità di genitore.
Dichiarare alla nascita che le due donne sono responsabili in egual misura della nascita del bambino è un falso ideologico, oltre che un impossibile biologico. In questo caso non c’è niente di cui rallegrarsi; non della pretesa di rendere uguali cose che sono sostanzialmente diverse, come afferma il principio di non contraddizione; non della pretesa di dimostrare a priori che le due donne ameranno il figlio nello stesso modo, tanto da meritare lo stesso titolo; né dell’equivoco in cui sono incorsi gli avvocati di parte scegliendo una procedura sbagliata; né del governo di un sindaco che nega l’evidenza, anticipa le conclusioni e si schiera da una parte senza tener conto della complessità giuridica, biologica, sociale del problema di cui si sta trattando. Aspettiamo il nuovo ricorso… la nuova sentenza… e l’esperienza dei fatti.
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