I DUBBI DEI GENITORI CHE ACCOMPAGNANO I FIGLI NELLA TRANSIZIONE DI GENERE

Il tema della disforia di genere, unito al lungo percorso per il cambio di sesso, impegna da anni ormai il dibattito sociale con un crescente interesse sui media critici contro il Governo Meloni per la storia vicinanza alla famiglia tradizionale. Avviene così che su “La Stampa” vengono riportate diverse testimonianze dei membri di “GenerAzioneD”, ovvero i genitori di bambini e adolescenti affetti da disforia di genere e in percorso per il cambio di identità sessuale. Si penserebbe ad una testimonianza in cui viene raccontato nel dettaglio ogni aspetto positivo e inclusivo del percorso dei “figli trans”, o al contrario un’accusa unica verso la “cultura genere”: niente di tutto ciò, emergono non pochi dubbi tra gli stessi genitori che da anni magari accompagnano con convinzione le battaglie dei figli. «Ognuno di noi ogni giorno è preso dal dilemma di quanto assecondare e di quanto coltivare il dubbio», ammette una madre sul problema della disforia di genere del proprio figlio.



«Vorremmo si capisse», continua la donna tra le testimonianze apparse anche sul portale di GenerAzioneD, «che avere un figlio o una figlia che desidera farsi amputare delle parti sane del proprio corpo, essere medicalizzati a vita non è certo una festa come spesso viene fatto credere». L’associazione prova ad interrogarsi su come riuscire ad accompagnare i propri figli nel migliore dei modi, senza oppressione ma senza anche il lasciarli al loro destino senza aiuti concreti. Decisamente istruttivo quanto raccontato da un’altra madre in merito al lungo percorso del figlio: 11-12 anni i primi segnali di attrazione verso i maschi, il dialogo proficuo con i genitori che non condannano e il percorso di disforia poi cominciato a 15 anni. «L’hanno subito consigliato di iniziare la transizione sociale e darsi un nome di donna», spiega la madre, «siamo andati insieme a comprare abiti femminili, reggiseni imbottiti, trucchi. Il giorno dopo si è presentato a scuola come ragazza. È cominciato un periodo di grande euforia, è aumentata la sua autostima e soprattutto la sua popolarità da parte dei compagni e professori».



“NESSUNO CI DICE COME GUIDARLI”: ALLARME TRA I GENITORI DEI FIGLI “TRANS”

Tutto risolto dunque? Niente affatto, come racconta la stessa madre dopo le prime discussioni avute con una neuropsichiatra che cominciò a sollevare dei dubbi sulla reale disforia di genere del ragazzo: «sospettava che il suo comportamento fosse frutto di un’ossessione. Ora che è passato del tempo sta spontaneamente regredendo nel suo proposito di transizione e mi ha detto che fino a quando non finisce il liceo non può certo fare passi indietro, visto quanto si è esposto con i compagni. All’università ci penserà e forse tornerà a vestirsi da maschio». Il tema è tutt’altro che secondario: è proprio il dubbio di fare passi “irrevocabili”, come il cambio radicale di sesso, a far sollevare non pochi dubbi nei genitori e negli stessi ragazzi.



«Cosa sarebbe successo se avesse iniziato con i farmaci? Non posso non chiedermelo», ripete la donna e come lei tanti altri casi di genitori guardando con perplessità alla radicalità del cambio di sesso con tanto di operazione. Un’altra famiglia racconta della figlia che dopo colloqui con psicologa ha iniziato la transizione sociale per via dei suoi comportamenti e tendenze fin dai 13 anni: «a me va bene se questo le dà felicità ma ora si pone il tema dei trattamenti ormonali, degli interventi chirurgici. Vorrei che le decisioni irreversibili le prendesse in una fase di maggiore maturità e consapevolezza, ora la vedo comunque confusa». Le viene fatto notare che la figlia vuole essere chiamata con nome maschile ma la madre ammette tutta la fatica: «non crediate sia facile, mi dice che si sente attratta soprattutto da maschi, ora ha un fidanzato gay che sta con lei in quanto la considera maschio e non femmine». Il racconto è uno sfogo in cui si coglie tutto l’affetto per la figlia e la volontà di accompagnarla verso la sua felicità: detto ciò, ammette la donna ancora su “La Stampa”, «io e il padre davvero non sappiamo come mantenere il nostro ruolo di guida in una situazione che cambia di continuo. Come possiamo decidere con serenità se assecondare anche i passi successivi?». Non solo, la famiglia denuncia come in Italia «non esistono nemmeno i dati di quanti minori siano in trattamento con “puberty blockers”, non sappiamo su quali evidenze si fondino i protocolli che ne regolano la somministrazione». Un’altra famiglia è ancora più diretta sul tema della disforia di genere: «la mia paura è che questo percorso non è reversibile, se poi crescendo si accorgesse che non era questo esattamente quello che la rende felice? […] Mi consuma la paura che la sua possa essere solamente un’ossessione transitoria, magari alimentata e indotta da un contagio sociale».