Mia figlia la bolscevica“. Così Francesco Cosssiga apostrofava affettuosamente la figlia Anna Maria, per quel look eccessivamente casual e poco informale per i suoi gusti. La storia vuole che Cossiga arrivò ad offrirle di comprarle di tasca proprio un elegante tailleur come condizione per accompagnarlo ad una cerimonia ufficiale all’epoca del Quirinale. Oggi quella “bolscevica” è un’apprezzata analista delle questioni relative agli estremismi islamici, da anni si occupa di storia e cultura ebraica, con particolare attenzione al conflitto arabo-israelo-palestinese, è stata intervistata da Il Mattino. Al quotidiano di Napoli ha confidato di aver messo piede al Quirinale soltanto una volta, il 3 luglio 1985, il giorno della cerimonia d’insediamento del padre, eletto al primo scrutinio per succedere a Sandro Pertini: “Una grande emozione, una bella festa, per lui una soddisfazione intensa. Io avevo 24 anni, immagini l’orgoglio. Lui scelse di non trasferirsi nel Palazzo e la sera tornava a casa in famiglia“.



Ma di cosa si discuteva a casa Cossiga? “Discutevamo di tutto, a pranzo si svolgevano dibattiti infiniti. Per me e per mio fratello Giuseppe rimaneva “ba’”, alla maniera sarda troncando la parola babbo. A casa ci diamo sempre confrontati apertamente. Anche quando eravamo più grandi, ricordo che lui scherzando chiamava me bolscevica e mio fratello Giuseppe il fascistone, per le sue simpatie di destra. Dopo sarebbe stato un deputato di Forza Italia e quindi avrebbe aderito a Fratelli d’Italia. Mia madre Giuseppa? No, di lei non parlo. Rispetto ancora oggi la sua assoluta riservatezza. Siamo stati educati in un’atmosfera di libertà e democrazia“.



Figlia Cossiga: “Così organizzò la missione Biancaneve per riportarmi in Italia”

Nell’intervista concessa a Il Mattino, Anna Maria Cossiga ha svelato anche un curioso aneddoto: “Quando scoppiò la prima guerra del Golfo, nell’estate 1990, io mi trovavo a New York e mio padre mi cercò durante la notte, era molto preoccupato, non riusciva a trattenere l’agitazione. “Figlia mia, sei sicura di voler rimanere lì?”. La II Avenue dove io abitavo era deserta, l’atmosfera pesante e io non mi staccavo dalla Cnn. Lui comprese la mia situazione e allora organizzò l’operazione Biancaneve“. Di che si tratta? Eccolo spiegato: “Mi disse di prendere l’aereo per Roma, qualcuno mi avrebbe accompagnato però io avrei dovuto far finta di niente. Sul volo mi accorsi della presenza di quattro persone che avevano buste di negozi di elettronica, quelli erano gli anni in cui tanti italiani andavano negli Usa ad acquistare oggetti che costavano meno. Io stetti al gioco e all’arrivo a Roma salutai i quattro. Anni dopo seppi che si era trattato appunto dell’operazione Biancaneve, del recupero della bimba in pericolo con il soccorso dei nani. L’aveva messa a punto lui, era il frutto della sua passione per i servizi segreti. Un’altra volta a New York da presidente mi invitò a raggiungerlo in albergo e io presi la metropolitana da sola. Non aveva avvertito della mia presenza l’ambasciatore il quale, vedendomi arrivare, si allarmò: “Ma come, nessuno mi ha detto niente?”. Del resto, un po’ di abitudine alle scorte l’avevo maturata“.



Figlia Cossiga: “Della morte di Moro fece una malattia”

Impossibile parlare di Francesco Cossiga senza citare il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro per mano delle BR. Il 9 maggio 1978, giorno in cui venne trovato il cadavere dello statista DC, Anna Maria era “in classe. “Come mai non ti vengono a prendere?”, si interrogavano inquieti ed io ero in preda al panico. Mio padre fu sconvolto dall’assassinio di Moro, il suo maestro, il suo riferimento. Avevano un alto senso dello Stato e non riuscì mai a perdonarsi di non averlo potuto salvare, si svegliava di notte tormentato. Somatizzò il dolore, i capelli gli diventarono bianchi, la pelle fu macchiata dalla vitiligine“. Di quella vicenda Cossiga fece una malattia: “Mio padre non ebbe timori ad ammetterlo. Fu lui a parlare dell’omino nero e dell’omino bianco, della ciclotimia. Per noi non era una tragedia di cui vergognarci: lo consideravamo un disturbo al pari di tanti altri. Comunque fu un dramma che cambiò la sua vita“. Fu anche questa circostanza a fare di Cossiga il presidente “picconatore”: “Sapeva di avere una personalità ambivalente e ne aveva fatto una tecnica di combattimento politico. Certo, tutti noi ne rimanemmo stupiti. Era una persona molto severa e rigorosa. Gli telefonai da Londra domandandogli: “Ba’, che succede?”. E lui: “Nulla di preoccupante, Anna. Cerco di divertirmi e dico tutte le cose che penso, in libertà”. (…) Lui continuò nelle esternazioni anche dopo il Quirinale, da senatore a vita. Io ero con lui e insieme al suo collaboratore, il prefetto Franco Mosino, gli dicevamo: “Non pensi di stare esagerando?“. E come rispondeva Cossiga? Così: “Con il suo sorriso: “Esagero? Beh, allora la smetto”. Ma dopo continuava esattamente come prima. Considerato quel che è accaduto dopo, non so quanto si sia divertito, ha almeno saputo guardare lontano. Ma questo è il senno di poi“.