Nei mesi scorsi abbiamo ospitato provocatoriamente la mostra “Cor Magis il cuore, l’opera e il bene di tutti”: un’allegoria del “Buono e Cattivo Governo e dei loro Effetti” del senese Ambrogio Lorenzetti, che è stata vista da centinaia di persone, con più di 40 gruppi fra scuole, istituzioni e imprese.

Colpisce molto il dibattito che ne è seguito su IlSussidiario.net  in merito alla vita e alle condizioni della città di Milano perché ha aperto un livello di riflessione che non è affatto riducibile a una strumentalizzazione politica e nemmeno a un pettegolezzo di basso livello a cui siamo, purtroppo, abituati da troppo tempo anche sulla stampa milanese.

Le provocazioni sia di Luca Doninelli, che condivido, e del New York Times hanno generato un interessante e vivace dialogo attraverso una serie di riflessioni, reazioni e giudizi sulla nostra città: c’è chi la giudica una realtà internazionale, chi creativa, altri ancora come un luogo decadente oppure chi la ritiene terribilmente provinciale, vecchia piuttosto che (al contrario) accogliente o addirittura anonima e individualista.

Un ulteriore sollecito ci arriva dall’ultimo provvedimento di Carlo Masseroli, Assessore all’Urbanistica di Milano: proprio in questi giorni, infatti, in Consiglio Comunale è in discussione il Piano Urbanistico del Territorio (Pgt).

Si tratta di un fatto che mobilita tutti – assessori, politici, intellettuali e operatori del settore – a riflettere sul tema dello sviluppo del territorio della nostra città. Avrò modo di parlarne in modo più adeguato, nel frattempo il dibattito si è acceso: chi a favore chi contro, ma non vi è dubbio che tutti devono fare i conti con una concezione di sviluppo del territorio che sfida la responsabilità non solo degli operatori immobiliari, ma anche di tutte le parti sociali, culturali ed economiche della nostra città. 

Davanti al vuoto dei più, vediamo emergere l’iniziativa di Carlo Masseroli,  che ha avuto l’audacia di rischiare su un lavoro serio, originale e coraggioso. Ma all’origine di questo interessante dibattito si impone una domanda: nel definire un giudizio su Milano e immaginare il suo sviluppo e la sua crescita – anche in prospettiva della sfida di Expo 2015 –  da dove si parte? Dalle proprie impressioni e sensazioni? Dai propri pregiudizi?

Sono queste le domande che io, insieme a tutti gli amici della CdO, ci stiamo ponendo. Per costruire il bene comune della nostra città, per partecipare e dare il proprio contributo alla Milano del presente e a quella del futuro, per dipingere il volto di una città che assomigli di più a quella del “buon governo” e non a quella “del cattivo governo” del Lorenzetti da dove dobbiamo ripartire? Da dove trarre le forze necessarie per una crescita positiva?

Noi della CdO abbiamo deciso di prendere le mosse non da un programma, né tanto meno da un progetto ma, piuttosto, dall’osservazione della realtà. Quello che nella nostra città c’è, esiste e vive è da riconoscere e giudicare in termini di portata, valenza, forza e contributo positivo. Come? Attraverso l’individuazione dei tratti distintivi dei protagonisti dello sviluppo della nostra città.

Questi “tratti” di cui parlo non sono rintracciabili nelle prime pagine dei giornali e nelle analisi dei sociologi, né fanno parte dei “salotti buoni” e delle redazioni giornalistiche, ma sono da riconoscere nel tessuto stesso sociale che oggi costituisce Milano.

E faccio riferimento nello specifico  agli  operatori nel settore della musica, dei conservatori, delle scuole di scrittura per giovani emergenti,  piuttosto che a tutti coloro che “producono”: dagli gli artisti ai galleristi, dagli scultori passando per gli intellettuali dei Centri Culturali  e gli scrittori fino ad arrivare a coloro che si occupano del mondo del welfare, ovvero: esperienze di solidarietà, di servizio agli anziani, di accoglienza degli immigrati, emarginati e portatori di handicap; piuttosto che esperienze nel mondo della scuola, della formazione e più in generale delle attività educative, passando da tutte quelle attività che si occupano di lavoro e a quelle, più strettamente economiche e imprenditoriali, di micro e piccole imprese che costituiscono l’artigianato, l’attività industriale fino al terziario avanzato. 

Del “tessuto sociale” fanno, inoltre, parte sia le cosiddette “periferie”, che troppo spesso sono ricordate per il problema della sicurezza pubblica, che tutta la comunità di immigrati proveniente dall’Africa del Nord e del Sud, dall’Asia, dai Balcani passando dalla Romania fino alla Russia. Ma chi sono questi protagonisti? Che contributo danno?

C’è una città da conoscere e da ricostruire  con il contributo e l’esperienza di tutto ciò che i soggetti protagonisti sopracitati hanno di buono, di bello, di utile da mettere a servizio della nostra comunità cittadina: è un grande “fiume carsico” che la attraversa in lungo e in largo e noi vogliamo un “dipinto” di Milano da cui farci interrogare.

La prima grande svolta, dunque, è quella di ascoltare, accogliere e imparare fino a riconoscere tutta questa ricchezza,  in secondo luogo capire come fare a farla diventare patrimonio per tutti e in terzo luogo costituire spazi di liberà affinché questa capacità di apertura alla vita in tutte le sue forme trovi respiro per la costruzione della nostra città. Cioè di Milano.

È un percorso avviato anche insieme a tanti altri: un’opportunità di cambiamento innanzitutto per noi e di conseguenza anche per  la città intera. In questo contesto, continueremo il nostro lavoro facendo incontri pubblici negli ambiti della cultura, della formazione, del lavoro, nonché anche della periferia e del welfare allo scopo di  dilatare questa capacità di riconoscimento dove la libertà e la responsabilità di costruire agiscono e sono in gioco.