È il 1978 quando Don Davide, giovane sacerdote dell’Oratorio di Paullo, chiede a un gruppo di giovani quasi diciottenni, la disponibilità a far compagnia, la domenica,  ad alcuni ragazzi portatori di handicap.

Da quel “sì”, detto d’impeto e senza un momento d’esitazione, e da quegli studenti milanesi accomunati dall’esperienza di Gioventù Studentesca, è nata l’esperienza de “Il Carro”.

L’associazione prende vita attraverso la condivisione delle domeniche, della Santa Messa, del pranzo, dei giochi, delle gite, delle vacanze nei più bei luoghi delle Dolomiti.

Qualcuno  però si accorge che i desideri di questi giovani disabili non si fermano alla condivisione del tempo libero, ma vogliono affermare sé stessi e aiutare la propria famiglia: i ragazzi manifestano il bisogno e la voglia di trovare un lavoro. È così che nel marzo del 1988, presso una vecchia canonica di Vaiano di Merlino gentilmente messa a disposizione dal Vescovo di Lodi,  nasce la cooperativa “Il Carro”.

Il desiderio dei ragazzi disabili di poter lavorare, trova soddisfazione nella partecipazione al primo laboratorio di artigianato, alla prima lavorazione del legno e nel primo gratificante stipendio. L’esperienza è sempre più significativa, fino al trasferimento nella nuova sede di Paullo, realizzata grazie alla concessione di un terreno in comodato da parte del Comune e alla ricostruzione di un capannone dismesso regalato dalla Mapei SpA.

A un inizio in punta di piedi, segue un significativo momento di espansione attraverso la produzione artigianale, la vendita degli “strappi” al book shop di Santa Maria delle Grazie e l’assemblaggio di componenti elettriche per conto terzi.

La cooperativa prende forma e si amplia grazie al ruolo fondamentale dei volontari: l’impegno gratuito di queste persone ha permesso nuove assunzioni di disabili, l’ingresso dei primi tirocinanti e l’assunzione di un’impiegata.

A un grande impegno e ai grandi risultati corrispondono però anche delle difficoltà e la cooperativa affronta il suo primo periodo di crisi. I problemi economici non riescono a intaccare la volontà dei soci di perseguire i propri scopi e "Il Carro" si rimbocca le maniche e sceglie di procedere sulla strada dell’impegno sociale.

Nel maggio del 2005 viene realizzata la cappelletta della Madonna e, a dicembre dello stesso anno, la cooperativa partecipa con il proprio stand all’Artigianato in Fiera a Milano, portando a casa un utile di 500 euro: una piccola boccata d’ossigeno tra finanze asfittiche e stipendi in bilico per 9 dipendenti.

Nello stesso periodo giunge voce che una cooperativa storica di Varese, la quale offre lavoro a un centinaio di disabili e che si era fatta carico, nei primi mesi della nostra vita, di sostenerci economicamente e professionalmente, versa in gravissima crisi: non ci pensiamo un attimo, quei 500 euro, tanto sudati e sospirati, vengono dirottati immediatamente verso quei vecchi nostri amici.

Passano pochi giorni: Claudio Mazzola, Sindaco di Paullo, ci convoca in Comune e ci comunica che è sua intenzione riqualificare l’area su cui sorge la nostra cooperativa.
L’Amministrazione Comunale metterà a disposizione un nuovo terreno su cui verrà realizzata  la nuova struttura più ampia e più funzionale. E la nostra nuovissima cappelletta? “Ve la trasferiamo nella nuova sede” ci risponde il Sindaco. Che sia questo il “centuplo quaggiù”?

Nello stesso periodo la cooperativa intraprende nuove attività: servizi di pulizie, di  trasporti, manutenzioni, traslochi, cura del verde; convenzioni e contratti con privati, ditte e Comuni. Un nuovo momento di espansione: i soci lavoratori della cooperativa arrivano a  44, di cui circa il 50% svantaggiati, i tirocinanti oltre 10, i volontari 20, gli amici e benefattori innumerevoli;  oltre 20.000 euro ci giungono dalla sottoscrizione del 5 per mille da parte di oltre 600 persone. Dei grandi numeri paragonati a quel piccolo gruppo di studenti che oltre vent’anni fa si riuniva per passare il proprio tempo libero con i ragazzi disabili.

I numeri cambiano, la cooperativa si allarga ma lo spirito è ancora oggi lo stesso.

16 febbraio 2011: diluvia. Intorno a un tavolo Lorenzo e Roberto, responsabili del verde, hanno convocato i 4 capisquadra per una riunione: qual’è l’ordine del giorno? Non certo questioni tecniche e operative. L’argomento è il gruppo e le persone che lo compongo: si parla delle difficoltà di N. a rapportarsi con i colleghi; della disperazione di R. che probabilmente dovrà rientrare in carcere; dell’organizzazione del trasloco della famiglia  di D.L. mentre lui purtroppo è in carcere; delle difficoltà di M. con i propri familiari; delle incertezze  di A. sull’utilizzo del tosasiepi; dei miglioramenti di N. e di E. nella potatura degli alberi ad alto fusto e così via.

Ma questo è un “di più”, un interesse alla persona nella sua totalità, interesse che va dal miglioramento della propria professionalità alla condivisione e all’aiuto di tutto l’umano.

Eccone un esempio di vita: N. ha 40 anni, è conosciuto da tutti, e non per meriti particolari. È il primo caso di ex carcerato ed ex tossico che ci viene proposto. Non ha mai lavorato, saremo in grado di affrontare questo caso? Ora è con noi da 4 anni, assunto a tempo pieno, è una delle migliori risorse nel settore del giardinaggio. Oggi tutti  si chiedono: ma è proprio N.?

E ancora: L., diciassette anni, deve fare uno stage presso di noi. I giudizi di scuola e servizi sociali sono assolutamente negativi: incapace di lavoro, di relazioni. Sta con noi un mese, altri due mesi durante il periodo estivo e l’esperienza è bellissima.

La sua educatrice pensa che sarebbe opportuno tentare una realtà lavorativa non “protetta”. Incontriamo un’amica imprenditrice della zona: lo accoglie nella sua azienda per alcuni mesi sino allo scorso 15 gennaio, quando compie 18 anni e decide di tornare con la mamma naturale, purtroppo lontano, dalle parti di Varese.

L’imprenditrice, suo figlio, i colleghi, tutti  con le lacrime agli occhi, lo festeggiano e lo salutano: non fosse stato per la lontananza sarebbe stato assunto.
Che cosa ti cambia se non uno sguardo diverso su di te? E quante volte ci rendiamo conto che questo sguardo d’amore è anzitutto rivolto su noi stessi.