Nel corso dell’anno sociale che si conclude abbiamo visto crescere la domanda di amicizia che sta alla base dell’associarsi a CDO. Il lavoro fatto, dalla mostra del Buon Governo alla campagna elettorale ci ha messo davanti alla domanda di molti amici che ci chiedevano: “E adesso?”. E’ una domanda che chiama tutti noi a scendere campo per riuscire a partire dalle esperienze vissute, a far maturare questa esperienza e ci permetta di fare crescere la nostra amicizia? Questa “nuova”responsabilità ci interroga su cosa pensiamo sia il prossimo passo per fare di CDO il luogo dove questa esperienza non si ripieghi su se stessa ma possa rinnovare e dare nuova forza al nostro modo di essere e di vivere. La crisi perdura e molti imprenditori scontano ancora lo sforzo di affrontare un mercato sempre più complicato e competitivo, dove è sempre più difficile pianificare a lungo termine la propria attività e bisogna rispondere alle richieste dei clienti oggi per domani seguendo la logica della corsa al ribasso.

Non possiamo nasconderci che queste difficoltà esistono. In questo quadro risulta ancora più difficile rassegnarsi ad un approccio da parte delle istituzioni che non favorisce chi, facendo impresa, produce benessere rischiando in proprio. Alcuni hanno denunciato che talvolta sembra addirittura che lo Stato voglia ostacolare le imprese e gli imprenditori. Non è possibile negare che un approccio burocratico sordo, che ostacola con lacci e lacciuoli chi fa impresa costituisca un problema, ma non vogliamo limitarci alle lamentele sterili. Il fattore che ci permette di andare avanti nonostante tutte queste difficoltà è la certezza che sia possibile vivere e fare impresa in un altro modo, a partire da una umanità diversa che si può esprimere nel lavoro. Questa consapevolezza fa rinascere forti in tutti noi le radici che ci hanno mosso e le ragioni che ci hanno fatto partire all’inizio della nostra opera.

Questa prospettiva originale che ci contraddistingue deve rendere propositive e non sterili le critiche profonde che ci sentiamo di fare a chi ha responsabilità di governo ad ogni livello. Alle istituzioni chiediamo di scommettere sulla capacità delle persone di rispondere ai bisogni, di favorirli nella loro capacità di fare impresa e creare benessere. Come nel quadro di Ambrogio Lorenzetti il Bene Comune si misura dalla ricchezza dei commerci, dalla sicurezza delle strade, dall’efficienza del sistema giudiziario e dalla possibilità per i giovani di sposarsi e fare una famiglia, e la capacità di una classe politica può essere valutata a partire da questi indicatori.

La nostra posizione umana è una sfida anche a quanti ritengono che in fondo ci si debba adeguare e che la società vada diretta e governata perché senza una guida rischia di prendere le strade sbagliate. Non accettiamo questo approccio perché vogliamo prenderci le nostre responsabilità, lavorare per il bene comune e allo stato chiediamo solo di non soffocare, con la sua presenza, la libertà privata e civile. È necessario affermare il primato della società civile sullo stato per generare fiducia e responsabilizzare i corpi sociali, e per abbandonare un’idea di cittadinanza succube delle istituzioni che produce assistenzialismo e una burocrazia fine a se stessa. Le imprese non chiedono allo stato di scomparire ma di sostenere nello sforzo chi lavora per dare in modo efficace un contributo positivo al Bene Comune. Ribaltiamo il rapporto perché vogliamo costruire le risposte ai bisogni della società creando servizi e prodotti in un modo diverso, mettendo al centro quella volontà di dare spazio ad una umanità originale che ci muove e ci rilancia nella realtà.