Entro la metà del prossimo mese di febbraio, le famiglie (e i ragazzi) coinvolti in un ciclo scolastico in fase di conclusione, dovranno scegliere in che scuola iscrivere i propri figli il prossimo anno. La crisi, la particolare attenzione (e preoccupazione) sul futuro, la disoccupazione giovanile incalzante… questo periodo così complesso, ha portato anche una particolare attenzione alla valenza “professionale e lavorativa” della scelta, anticipando sostanzialmente i tempi della riflessione sulla professione dei propri figli.
Tendenzialmente nel passato il sostegno alla scelta professionale dei pargoli, l’individuazione del “loro lavoro” – tolti i desideri – avveniva solo dopo aver assicurato una “solida” (così veniva definita) formazione culturale con, sempre tendenzialmente, un desiderio di posticipare ulteriormente l’ingresso nel mondo del lavoro a dopo l’università – percorso “obbligatorio per tutti” prima di pensare al lavoro. Sarà il periodo, ma quest’anno è accaduto un cambio di tendenza. Seppur solo delineata si intravede una prima breccia alla fissazione (o aberrazione) culturale che vede come unico percorso ideale l’università forzata.
Sia chiaro, non penso sia (completamente) da vietare lo studio universitario, penso però che debba sempre più imporsi la preoccupazione di individuare o costruire le basi di una professione anche nella giovane età e penso sia necessario trasferire questa modalità a tutti, salvaguardando la possibilità di proseguire negli studi.
Magari lavorando, come si fa in America dove la maggior parte dei ragazzi iscritti e frequentanti i corsi superiori hanno un lavoro – almeno stagionale. Questo, potrebbe col tempo ridurre l’altro limite, molto italiano, di definire il posto di lavoro davvero soddisfacente solo se stabile.
L’attenzione maggiore alla scelta delle scuole e alle reali possibilità professionali che ne derivano sin dalla conclusione della scuola media, emerge dall’aumento delle iscrizioni (particolarmente accentuate in alcuni settori professionali) del nostro Liceo dei mestieri (www.galdus.it ), tendenza confermata anche da altri Enti.
Il ribaltamento e il cambiamento dell’approccio delle famiglie sta quindi avvenendo. Sinteticamente la preoccupazione e l’aspettativa comune diventa quella di dotare innanzitutto il giovane di una professione, insegnandogli un lavoro (senza sconti sul sapere e sulla cultura) poi, se “opportuno” proseguirà gli studi, con “in tasca” una carta (anzi non una carta ma delle abilità e capacità) in più per costruirsi il futuro e inserirsi professionalmente.
E’ un buon passo, perché prossimamente il vero “sfigato” a prescindere dall’età e dal titolo di studio (cogliendo spunto dal maldestro tentativo del Ministro di spronare i giovani a concludere prima gli studi universitari), sarà sempre più chi non saprà e non avrà un lavoro.