Mentre assistiamo alle trattative iniziate da qualche giorno tra il Ministero del Lavoro e le parti sociali per la riforma del mercato del lavoro, è sotto gli occhi di tutti, anche in Lombardia, il crescente disagio sociale dei giovani che trovano sempre più difficoltà ad inserirsi e a stabilizzarsi nel mercato del lavoro.
E’ senza dubbio necessario abbandonare i luoghi comuni del posto fisso e del primo contratto a tempo indeterminato, ed è opportuno pensare al concetto di percorso lavorativo. Nell’ultimo decennio infatti la realtà sociale è cambiata, anche a causa della stringente crisi dell’economia reale degli ultimi anni che ha contribuito a considerare la necessità di una maggiore flessibilità .
I nostri giovani non sempre hanno chiaro, anche perché non aiutati dai genitori rimasti fermi alla situazione degli anni ‘80 – ’90, che il mercato del lavoro ha nuove esigenze e nuove regole.
Il tirocinio curriculare e lo stage, se utilizzati correttamente dalle aziende senza indulgere ad abusi, sono gli strumenti principali per l’orientamento e l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani.
A questo proposito il Legislatore è intervenuto, negli ultimi mesi, con il decreto legge 138 del 13 agosto 2011 e successivamente con la Circolare Ministeriale n. 24 del 12 settembre 2011, per riformare l’istituto del tirocinio non curriculare al fine di restringere il suo utilizzo e favorire un maggior uso dei contratti di lavoro veri e propri.
La riforma dell’apprendistato, introdotta alla fine dello scorso anno con il Testo Unico, si propone quale obiettivo di rendere meno costoso e meno burocratico un istituto che sulla carta è un ottimo strumento per formare ed introdurre nelle imprese i giovani. Poche aziende però, fin dal varo del provvedimento nel 2003 con la Legge Biagi ad oggi, hanno creduto alla bontà ed all’utilità dell’innovazione.
Per rafforzare il contratto di apprendistato il Ministero del Lavoro ha ritenuto opportuno da qualche mese incentivare gli imprenditori che assumono in azienda apprendisti e sta valutando, proprio in questi giorni, ulteriori premialità nel caso di stabilizzazione con contratti a tempo indeterminato.
La scuola e l’università hanno un ruolo chiave ed una chiara responsabilità nel guidare la transizione dei giovani dal mondo dell’educazione al mondo del lavoro. Invano si è tentato di far dialogare due mondi che parlano sempre di più lingue diverse.
Oggi ciò che conta per un ragazzo, che si affaccia al mercato del lavoro, è la possibilità di fare esperienza. Spesso e volentieri però i percorsi universitari sono molto teorici e molto distanti dalla realtà delle imprese. Gli atenei, tranne qualche eccezione, non sono più centri di eccellenza perché sono aumentati enormemente di numero e per questo motivo propongono spesso percorsi formativi mediocri che non offrono al giovane la possibilità di fare un’ esperienza concreta e qualificante in azienda durante gli anni di studio. La carenza di servizi di orientamento in uscita e lo scarso servizio di placement sottolinea l’ interesse che gli accademici hanno a mantenere le cose come stanno.
Molti giovani laureati non sanno, per esempio, come si scrive un curriculum vitae, come affrontare un colloquio e quali canali sfruttare per la ricerca del lavoro. L’importanza di questi servizi è dimostrata dal fatto che sono diversi i casi in cui l’azienda valuta negativamente i candidati per l’eccessiva superficialità e sfacciataggine dei giovani durante i colloqui di lavoro. In questo modo essi si giocano il posto di lavoro perché hanno un’insufficiente consapevolezza di come ci si presenta ad un colloquio.
Il momento che stiamo vivendo presenta una situazione paradossale. Abbiamo migliaia di disoccupati laureati nelle lauree cosiddette “deboli”, al contrario ci sono aziende che non trovano personale specializzato giovane su cui investire e nello stesso tempo assistiamo alla presa d’assalto di corsi di specializzazione e a master post laurea.
Introdurre l’obbligatorietà dei tirocini curriculari anche all’estero può diventare una proposta per avvicinare il mondo della formazione e il mondo dell’impresa che rimangono ancora troppo estranei. Per le aziende infatti oggi conta sempre meno il titolo di studio ma molto di più quello che un giovane sa fare.
Un esempio virtuoso, a questo proposito, sono le scuole tecnico-professionali che incarnano il realismo che in questo periodo è necessario.
Il metodo educativo di queste scuole è fondato sulla consapevolezza che la scuola sempre di più ha il compito di “entrare” in azienda, condividendo metodologie didattiche e necessità formative tipiche di ciascuna figura professionale. Spesso e volentieri, per esempio, i docenti di alcuni percorsi formativi sono i manager o i dipendenti delle imprese stesse che assumeranno al termine del percorso formativo.
La speranza lavorativa dei nostri giovani non deve essere riposta esclusivamente nella riforma delle regole del mercato del lavoro e nella riforma dell’istruzione, sarebbe deleterio! E’ necessario invece realizzare al più presto riforme nazionali ed europee che avviino piani di investimento in modo tale che essi permettano all’imprese di ripartire investendo in innovazione, in formazione, nella possibilità di internazionalizzare e aiutino le piccole aziende a competere contro le grandi e a combattere la burocratizzazione della Pubblica Amministrazione.
Il futuro del lavoro dei giovani, e quindi anche del nostro paese, è riposto nel desiderio, che l’uomo porta sempre con sé, di esprimersi e di realizzarsi e nella sua capacità concreta di rischiare nel costruire progetti di utilità per la società, finalizzati al bene comune.