Con l’inflazione che cresce, il prezzo delle materie prime che sono schizzate alle stelle e i salari che sono destinati a salire, c’è una domanda che tutti i manager nel settore automotive si stanno ponendo: quanto ci costerà l’auto che vendiamo oggi e consegneremo tra un anno? Quanto costerà l’alluminio, la plastica, l’acciaio e la manodopera?



E se si tratta di un’auto ibrida o elettrica quanto costeranno le batterie? Ci saranno, insomma, margini di guadagno o lavorerò in perdita? Se il cliente è disposto a firmare un contratto con una clausola che permette di alzare il prezzo a piacimento, non c’è problema, ma il rischio è di scoraggiarne la maggior parte e di non incassarne neanche gli anticipi. Specie dopo un inevitabile ritocco probabilistico e preventivo dei prezzi che ha contribuito e contribuisce non poco a ridurre ulteriormente un mercato già asfittico che ha perso nei primi due mesi dell’anno oltre un quinto delle immatricolazioni rispetto allo scorso anno e oltre un terzo delle vendite rispetto al 2019 pre-pandemico. 



Si naviga a vista e non ci sono alternative alla palla di cristallo. Nessuno, in una situazione del genere, può prevedere il futuro di un prodotto complesso come l’automobile. E vendere e comprare in questo momento è quasi un azzardo economico. Chi compra lo fa solo perché è costretto dalle circostanze e chi vende lo fa non sapendo se ha fatto bene o meno. Per questo il mercato dell’usato va a gonfie e quello del nuovo continua a rallentare. Lo stesso discorso vale per i servizi come la manutenzione programmata la cui prezzatura, implicita nel costo dell’auto nuova o garantita, dipende da quanto costeranno i pezzi di ricambio e quelli di consumo nei prossimi due o, in alcuni casi, cinque anni.



Quello dei tempi di consegna è il problema che rischia di diventare dirompente dal punto di vista finanziario. Ma il rallentamento delle produzioni e, di conseguenza, delle consegne fa emergere anche una questione di brand awareness legata al lancio di nuovi modelli. Fino a poco tempo fa e nella maggior parte dei casi, i tempi erano questi: ogni due o tre anni un restyling con cambiamenti di linea percepibili ma non significativi e ogni cinque o sei anni una nuova versione di un modello affermato. Ora cosa faranno le case automobilistiche? Le case automobilistiche daranno ai clienti una versione vecchia di un modello che tra il momento della vendita e quello della consegna è stato rinnovato in parte o completamente. E in questo caso, come ne uscirà la loro immagine? 

Il problema di run out (ovvero l’uscita dal mercato di un vecchio modello sostituito da uno nuovo) c’è sempre stato, ma era un’operazione da trattare per un periodo estremamente breve, al massimo un mese o due. Ora con le consegne diluite a un anno, o più, diventa decisamente più significativo e rischia di complicare, oltre l’immagine, le decisioni d’acquisto e quindi le vendite. Insomma, voi acquistereste un’auto lanciata quattro anni fa con il nuovo facelift scelto due anni fa, certi o quasi che prima che la possiate guidare davvero uscirà un nuovo modello che la cambierà in maniera significativa? 

Non si tratta solo di una questione di immagine o di moda. Ogni vecchia versione perde valore sull’usato quando viene lanciata quella nuova. E quindi alla fine è anche una questione di soldi.

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