“La mente umana non è, come ChatGPT e i suoi simili, una macchina statistica e avida di centinaia di terabyte di dati per ottenere la risposta più plausibile a una conversazione o la più probabile a una domanda scientifica”. Al contrario, “è un sistema sorprendentemente efficiente ed elegante che opera con una quantità limitata di informazioni. Non cerca di danneggiare le correlazioni dai dati, ma cerca di creare spiegazioni senza per questo semplificare una realtà che è complessa di suo e sfugge alle letture facili”. “Smettiamola perciò di chiamarla ‘Intelligenza Artificiale‘, ma definiamola per quello che è e fa: un ‘software di plagio’ perché non crea nulla, ma copia opere esistenti, di artisti esistenti, modificandole abbastanza da sfuggire alle leggi sul copyright: questo è il più grande furto di proprietà mai registrato da quando i coloni europei sono arrivati nelle terre dei nativi americani”. Parole di Noam Chomsky, il padre della linguistica moderna che, a 95 anni, ha ritenuto di dover scendere in campo per difendere il suo pensiero di uomo libero che da sempre si batte contro le manipolazioni delle coscienze e dell’informazione, le trappole che determinano le condizioni ideali per il dominio sulla società da sfruttare.
Non so se a far insorgere lo scienziato, da sempre, fin dai tempi della guerra in Vietnam, impegnato a smascherare le mistificazioni del potere sia stato un episodio specifico. Ma i possibili esempi non mancano. Il più comico e paradossale riguarda l’infortunio di Google, che, dopo avere lanciato con enfasi la sua nuova AI Gemini, ne ha immediatamente ritirato alcune componenti. In nome della diversità e dell’inclusione, l’AI aveva infatti prodotto soldati tedeschi della Seconda guerra mondiale con fattezze africane e indiane e vichinghi con la pelle scura. Una rivisitazione ardita della storia così paradossale da essere platealmente falsa. Come non sempre capita, ahimè.
Vale la pena di parlarne adesso, nel momento di massimo splendore borsistico dell’AI. Sam Altman, il suo mentore, mette sì in guardia il mondo dai rischi di un uso disinvolto dell’AI, ma intanto sta raccogliendo presso le potenze del Golfo Persico una vera e propria fortuna (7 mila miliardi di dollari) per produrre i chips necessari per trasformare il mondo secondo nuove regole.
Non è affatto detto che questa rivoluzione venga coronata dal successo: l’AI generativa, ci spiega Chomsky, è una scorciatoia che offre frutti veloci, ma che non prepara l’avvento dell’AI realmente intelligente, perché questa corre su binari diversi. Per gli investitori il vero problema è quello di non cadere nelle trappole, che saranno sempre più numerose, di chi promette miracoli, da una parte, e di chi paventa la distruzione di interi settori produttivi, dall’altra. Certo il mondo corre, ma non sempre in maniera lineare. Basta al proposito riflettere su come Apple, dopo averci speso anni e tanti soldi, ha abbandonato il suo progetto di costruire un’auto a guida autonoma. Una lezione di realismo (e di umiltà) contro l’onnipotenza della tecnologia che ci permette di riportare i piedi per terra in un momento di grande esaltazione che fa rima con mistificazione, quella che il magnifico grande Noam Chomsky ha combattuto per una vita. Senza grandi successi, a giudicare dalle immagini dell’inferno di Gaza, così surreale da apparire un frutto perverso dell’AI. Peccato che sia tutto vero.
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