Non credete alle trimestrali che le case automobilistiche stanno presentando in questi giorni. I numeri, tutti, sono falsati dal crollo dello scorso anno e le percentuali di crescita delle vendite al massimo riportano i costruttori ai livelli del 2019 che non erano certo eccelsi. E gli utili riflettono bene i bassissimi costi dell’indebitamento, il contributo della cassa integrazione o delle varie forme di sostegno messe in campo da tutti gli Stati a causa della pandemia. I numeri, soprattutto, non riescono a mostrare tutte le incertezze che hanno di fronte i costruttori, alle prese con un cambiamento epocale, deciso dalla politica, nel quale anche gli addetti ai lavori fanno fatica a raccapezzarsi.
Tutto quello che era vero fino a una decina di anni fa non lo è più. Prima il business era costruire auto mass market e guadagnare con i servizi finanziari o realizzare auto premium che permettevano maggiori ricarichi. Gli investimenti erano principalmente legati alla conquista di nuovi mercati o di nuove fasce di clienti. La tecnologia dei motori termici era sufficientemente complessa da risultare una buona barriera all’entrata come, del resto, lo erano anche il livello di investimenti da effettuare. Era un mercato che gli economisti potevano definire maturo, stabile, una cash cow, insomma.
Le velleità degli Over The Top sulla guida autonoma, le politiche ambientaliste e la solenne stupidata del dieselgate hanno cambiato tutto. Intendiamoci, il pane e burro rimangono, per tutti o quasi, le auto a motore termico e la vendita di finanziamenti all’acquisto. Ma la concorrenza è aumentata a dismisura e le nuove regole antinquinamento in Europa e negli Stati Uniti hanno costretto i produttori a investire miliardi nell’elettrificazione e nella diversificazione del business. Ma in questi settori non si guadagna una lira, anzi. Sia il car sharing che i nuovi servizi per gli automobilisti, come, per esempio, il concierge service, non hanno mai messo una cifra positiva in fondo ai bilanci. Mentre la vendita di auto elettriche, nonostante la caterva di incentivi, non decolla più di tanto. Anzi, se i dati californiani sono veri, più di un quinto di coloro che hanno comprato un’auto a batteria ha deciso di tornare ad acquistare un veicolo con motore termico.
In più, c’è un problema di fornitori. Ovvero visto che motore elettrico, batterie, cavi, centraline, sistemi di sicurezza, schermi vengono comprati quasi sempre da altre aziende, i costruttori tradizionali rischiano di diventare dei semplici assemblatori di tecnologia esterna con margini che diventano sempre più risicati. Per questo hanno iniziato a investire in settori dove ci sono già dei giganti che possono vantare economie di scala non comparabili: batterie e microchips. Quale sarà i risultato ce lo diranno i posteri, ma per le case automobilistiche è questione di vita o di morte.
In una situazione come questa non è neanche possibile fare delle classifiche. C’è chi pare messo meglio degli altri, ma il mercato è talmente volatile e il futuro così incerto che è difficile fare delle previsioni azzeccate. È, invece, probabile che questo scenario porti nel medio periodo a una richiesta di capitali, quando il costo dei prestiti tornerà a essere un fattore. Ma è altrettanto probabile che il successo delle operazioni non dipenderà dalle effettive capacità delle aziende di remunerare il nuovo capitale. In Borsa, ormai quello che contano sono solo gli annunci e non la sostanza e nella prima categoria i “vecchi” costruttori, troppo legati ad antiche consuetudini ingegneristiche, non sono certo degli esperti.
Sostanza e coerenza restano dei valori per gli addetti ai lavori dell’auto, mentre per il mercato azionario non lo sono, forse, mai stati. Il fatto che da sola Tesla abbia una capitalizzazione di mercato superiore alla somma degli altri grandi costruttori lo dimostra. In tutta la sua storia, la casa automobilistica californiana ha messo a segno solo alcuni trimestri positivi, ma ha raccolto sul mercato decine di miliardi di dollari tra aumenti di capitale e vendite del fondatore Elon Musk. Per farlo, quest’ultimo, ha lavorato più sui social che in azienda, più coi politici che con gli ingegneri. Ha alzato la bandiera dell’ambientalismo e guardato al suo portafoglio.
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