Forse è solo una questione di immagine. Perché pagare uno spazio al Ces, la fiera dell’elettronica di Las Vegas, significa essere all’avanguardia, far parte della crème de la crème dell’industria mondiale nel campo dell’innovazione. Ma, visto quello che hanno mostrato, i costruttori d’auto presenti potevano tranquillamente risparmiare i soldi. Proviamo a elencare le novità in ordine sparso.
Bmw, dopo la mai-più-senza auto che cambia colore dello scorso anno, nel 2023 ha presentato una concept car che all’avvicinarsi del conducente esegue una serie di animazioni di benvenuto, comunica con gli altri attraverso delle animazioni della griglia frontale e, addirittura, può anche proiettare l’immagine dell’avatar del guidatore sul finestrino.
Fiat ha presentato il suo metastore virtuale dove si possono effettuare non si sa che tipo di test drive. Audi ha portato una versione estesa dell’head up display, le informazioni sul parabrezza, che si spostano a destra o sinistra quando si curva. La casa tedesca assicura che non procura mal d’auto. Polestar di Volvo ha mostrato un sistema di telecamere che controlla il guidatore, lo richiama all’ordine ed eventualmente ferma l’auto. Volkswagen ha presentato la Passat elettrica, ovvero la ID.7, che per indirizzare l’aria condizionata, invece delle solite bocchette utilizza un’unica grande “bocca” che attraversa l’intera plancia e assicura, si fa per dire, 700 chilometri di autonomia. Più onestamente Kia e Hyundai hanno presentato dieci startup della loro scuderia che hanno sviluppato un sistema di telecamere multiple con visione quadrangolare e una piattaforma di elaborazione dati per la guida autonoma.
L’unica vera novità automotive del Ces di Las Vegas è arrivata da Mercedes che accanto alla nuova mascotte Superdackel (un cane in 3D sviluppato in collaborazione con Superplastic) e ai soliti miglioramenti sulla guida autonoma che nessuno davvero vuole e sull’infotainment, ha annunciato che entrerà in forze nel mercato delle colonnine, per ora in nord America, installandone 2.500 e prevede di arrivare a quota 10 mila in tutto il mondo entro il 2030.
Questa notizia la dice lunga sulla reale situazione del settore automotive. Essere costretti, volenti o nolenti, ad abbracciare la trazione elettrica significa gettare alle ortiche la propria supremazia tecnologica sui motori a scoppio e la relativa meccanica per trasformarsi in semplici assemblatori di parti (batterie e motori) prodotte da altri, soprattutto in Cina, con materie prime in larga parte nella disponibilità dei cinesi. E allora via alle idee per trovare nuovi business paralleli che, possibilmente, costino poco e abbiano ritorni significativi. Via alla ricerca spasmodica di startup innovative da comprare che possano essere integrate nel gruppo. Via alle soluzioni borderline che prospettano rivoluzioni prossime venture ancora non ben definite.
Chi ha le spalle abbastanza larghe pensa anche a far crescere la propria software house, chi le ha enormi progetta di mettere le mani sulla realizzazione delle batterie perché è in quei pacchi che sta tutto il valore delle nuove auto. Meglio vendere un centinaio di modifiche software che un’auto con batterie comprate da un fornitore esterno.
Finita la corsa al fatturato è iniziata quella, molto più dura, ai margini di guadagno. I prezzi delle auto saliranno ancora, inevitabilmente. E i costruttori hanno ben poco da offrire in cambio. Nessuna rivoluzione sull’autonomia delle vetture elettriche e prezzi dell’energia in crescita sono un binomio che toglie il sonno a molti Ceo del settore. Fanno quello che possono… facendo finta di crederci.
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