Meno uno, o quasi. Jaguar Land Rover, la principale casa automobilistica inglese posseduta dal gruppo indiano Tata, sta andando fuori strada. Saranno stati gli investimenti necessari per ridurre le emissioni, i volumi non elevati su cui spalmarle (poco più di 600 mila auto immatricolate lo scorso anno), la concorrenza tedesca. Oppure i problemi legati alla Brexit, quelli di qualità in Cina, le vendite negli Usa. Oppure tutti questi fattori insieme. Sta di fatto che le azioni del gruppo Tata, le uniche quotate, sono scese del 30% in pochi giorni dopo che la controllata casa automobilistica ha annunciato una perdita di 3,4 miliardi di sterline (3,8 miliardi di euro) solo nell’ultimo trimestre, quello archiviato il 31 dicembre dell’esercizio fiscale 2018-2019.
Una perdita monstre che si spiega anche con un deprezzamento di beni a bilancio per 3,1 miliardi di sterline (3,5 miliardi di euro), ma anche senza questo elemento, i conti erano comunque in perdita per 273 milioni di sterline (311,2 milioni di euro). Un rosso “operativo” che si va a sommare a quello dei primi nove mesi dell’anno fino ad arrivare a una riduzione dell’utile rispetto all’anno fiscale presente di 627 milioni di sterline. Tanta roba su un fatturato di 25,8 miliardi di sterline (29,4 miliardi di euro). Ma è la tendenza che conta, ed è pessima.
La logica conseguenza di questi numeri è un draconiano taglio dei dipendenti e le voci di una cessione già circolate a gennaio, smentite, e puntualmente riproposte oggi. Con una novità. Carlos Tavares, il numero uno del Gruppo Psa, lo stesso che aveva tentato un “approccio” con Fca qualche settimana fa, si è detto subito disposto a intavolare una trattativa per una fusione. Oplà. Dopo essersi “pappato” una Opel bollita e averla riportata in utile, Tavares ha una strategia simile a quella di Sergio Marchionne: è disposto a tutto pur di crescere.
Dopo la scomparsa del numero uno di Fca, i guai giudiziari in Giappone di Carlos Goshn di Renault, il quasi pensionamento di Dieter Zetsche di Mercedes, il licenziamento di Rupert Stadler di Audi e l’uscita di scena del mitico Ferdinand Piech, il portoghese Tavares è probabilmente il più preparato tra gli amministratori delegati del settore automotive. È riuscito nell’impresa di riportare in utile il gruppo Peugeot Citroen che stava fallendo e, come dicevamo, ha ripreso per i capelli una Opel che non produceva utili da anni.
Oggi Tavares vuole crescere a tutti i costi e non prova neanche a dire che può farne a meno. Gli servono brand premium per aumentare i margini e volumi di vendita per spalmere le spese e gli investimenti sul maggior numero di vetture possibili nel mass market. Gli servono nuovi mercati o marchi che hanno già ampi spazi di commercializzazione dove ora fa fatica a imporsi per evitare che la crisi di un’area porti in crisi l’azienda. Insomma, ragiona in grande perché nel settore automotive, ormai, non si può fare altro.
Lo stesso discorso vale, naturalmente, anche per Fiat Chrysler che, siamo certi, ha più di un tavolo di trattative aperto, ma che rischia di avere, ogni giorno che passa, un concorrente in più nel grande gioco delle acquisizioni/fusioni/ collaborazioni nel comparto. Oggi è Jaguar Land Rover che fa fatica a stare in piedi da sola, domani potrebbe essere Ford che potrebbe decidere di lasciare, come General Motors, il sempre più complicato mercato europeo.
Se il risiko nel settore accelera, gli spazi per Fca sono destinati a restringersi. E questa non è una buona notizia.