Stellantis lo scorso anno ha triplicato i profitti, come Bmw. Mercedes li ha addirittura moltiplicati per sei. Persino Renault è tornata a guadagnare del denaro dopo anni di perdite a fine anno. Nonostante la crisi delle immatricolazioni. E la situazione non è cambiata nemmeno nei primi tre mesi del 2022. Ricavi in salita e consegne in calo per il gruppo nato dall’unione tra Psa e Fca che ha venduto il 12% di auto in meno, per Mercedes (-9,6%), per Bmw (-5%) e per Renault (-17,1% di immatricolazioni con un fatturato che si riduce solo del 2,7%). 



Risultati simili li stanno ottenendo tutti i grandi costruttori. Magari non per tutti così eclatanti, ma nessuno sta davvero soffrendo. Utilizzano gli ammortizzatori sociali per sostenere i lavoratori delle fabbriche che si devono fermare per la mancanza di pezzi, tirano il collo ai fornitori che non riescono a rispettare gli impegni, lanciano allarmi per le conseguenze del conflitto in Ucraina o per le lentezze della supply chain, ma continuano, o addirittura iniziano, a presentare degli ottimi risultati economici. E gli azionisti esultano, specie se si considera che i costruttori sono alle prese con investimenti massicci in nuove tecnologie e un cambio di prodotto imposto per legge e non apprezzato più di tanto dai clienti.



Una congiuntura astrale favorevole, grandi capacità manageriali, massicci tagli alle spese? Niente di tutto ciò e lo spiega bene Richard Palmer, Cfo di Stellantis, l’uomo dei numeri del gruppo italo-franco-americano. «Nel primo trimestre i ricavi netti sono cresciuti del 12% grazie ai prezzi netti, a un miglior mix di modelli e a cambi di conversione più favorevoli, mentre le consegne sono calate del 12%. La guidance per l’intero anno, con margini di risultato operativo rettificato a doppia cifra e flussi di cassa positivi, è confermata, nonostante le condizioni sfavorevoli in termini di approvvigionamenti e di inflazione, grazie al successo dei modelli e alle partnership strategiche».



Cosa siano i prezzi netti è facile da spiegare: nessuno sconto, nessuna vendita al costo ai concessionari per liberare i piazzali delle fabbriche, nessuna promozione. Il miglior mix di prodotti, citato da Palmer, una volta avrebbe significato che i clienti sceglievano modelli più costosi o maggiormente accessoriati. Oggi, invece, si può scegliere davvero poco a meno che non si sia disposti ad aspettare molti mesi primi di vedersi consegnata l’auto nuova. E nelle concessionarie arrivano prima, o solo, le varianti meno economiche dei vari modelli. I clienti che hanno bisogno di un’auto subito hanno poco da stare allegri. 

Insomma, gli uomini di marketing delle case automobilistiche stanno facendo il loro lavoro, i concessionari li seguono a ruota e gli affari volano. È cambiato il mood del settore. Le classifiche di vendite hanno perso valore e se prima tutti si vantavano di essere leader delle vendite in un certo settore o in assoluto, ora l’attenzione di tutti gli addetti ai lavori è sul guadagnare, marginare. 

Prima della pandemia, della crisi dei microchip e delle difficoltà della supply chain, le fabbriche sfornavano auto a ritmo continuo e il problema era venderle. Oggi la situazione si è ribaltata. Le fabbriche ferme e le difficoltà di approvvigionamento si sono trasformate in un’opportunità che tutte le case automobilistiche stanno sfruttando. Con un solo enorme punto di domanda: con un’inflazione che galoppa e i costi delle materie prime che continuano a salire, quanto costerà produrre l’automobile che dovrò consegnare tra dieci o dodici mesi? 

È una scommessa che alla fine qualcuno vincerà, il cliente o la casa automobilistica. A meno che comincino a essere infilate delle clausole di adeguamento dei prezzi a carico dell’acquirente anche nei contratti di compravendita delle auto. In questo caso non ci sarà partita e sappiamo già chi pagherà. 

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