Capire le conseguenze economiche della guerra in Ucraina non sarà facile. Ci sono molti modi di scrivere la storia, quello a cui stiamo assistendo è un percorso dove risulta davvero difficile capire se c’è un senso, un limite a tutta questa distruzione. Per la seconda volta in un biennio ci troviamo ad affrontare un evento drammatico e imprevisto, quasi impensabile. Prima il Covid e ora un conflitto armato, una guerra in Europa che avrà esiti devastanti in tanti ambiti. Ci soffermiamo su alcuni effetti immediati in campo finanziario, in particolare sulle nostre due principali banche e sul versante del riassetto bancario italiano che abbiamo più volte indagato nelle pagine di questo giornale.



La guerra ha fatto saltare o quanto meno messo in stand by la riorganizzazione del settore che era in corso, poiché nessuno sa prevedere come finirà il conflitto e quale sarà il punto di caduta. I piani sono stati accantonati, in occasione delle prossime assemblee societarie, forse, si potrà sapere qualcosa di più. 



Per l’industria finanziaria italiana il 2021 è stato un anno di progressivo ritorno alla normalità, seppur dentro una situazione sanitaria che non ha lasciato completamente tregua. La ripresa economica e sociale, in un contesto devastato dalla pandemia iniziata nel 2020, ha fatto segnare un significativo balzo in avanti del Pil e l’avvio del Pnrr. Le principali banche italiane hanno visto aumentare in modo sensibile l’utile netto (tranne Mps e Carige) e il ritorno allo stacco dei dividendi (bloccato nel 2020) riaprendo così una stagione di utili di una certa consistenza. 



Una ripartenza merito di una ritrovata fiducia e di una nuova normalità segnata dalla consapevolezza di affrontare cambiamenti accelerati dalla pervasività, dalla potenza della tecnologia, dal valore della digitalizzazione con in corso una transizione e il passaggio a nuovi modelli di business. 

Ma in questo inizio di 2022, alla ricerca di un nuovo ordine, le operazioni di aggregazione e fusione transnazionali e quelle domestiche sono ferme e si fanno i conti con il repentino crollo e il rally delle quotazioni di Borsa, un termometro sempre assai sensibile. Come nel caso delle due principali banche italiane, Intesa Sanpaolo e UniCredit, che hanno da tempo una presenza significativa nelle aree del conflitto, realtà che davano margini di profitto non proprio residuali. Si valuta l’addio dalla Russia. Riviste le stime delle due banche, si studia il dietrofront da un’area che, fino alla viglia dell’invasione, era percepita come un mercato importante per i due nostri più grandi player nazionali. UniCredit si era anche messo in corsa a fine 2021 per l’acquisto di OtkritieBank, una delle prime banche russe, una operazione di 1 miliardo di euro che alla luce dei fatti accaduti è stata ovviamente accantonata.

Il titolo UniCredit dopo un anno di faticosa salita, a metà febbraio aveva toccato il suo massimo a 15,85 e nel giro di un mese è sceso sino a 8,50 bruciando più di terzo della propria capitalizzazione. UniCredit Bank Russia, spiegava una nota diffusa la scorsa settimana dal Gruppo UniCredit, ha una esposizione creditoria autofinanziata di 7,8 miliardi a fine 2021 e un patrimonio netto di 2,5 miliardi di euro. Al netto delle coperture sui cambi l’esposizione diretta si riduce a circa 1,9 miliardi. “Nello scenario estremo in cui la totalità della massima esposizione non possa essere recuperata e venga azzerata l’impatto massimo sulla solidità patrimoniale sarebbe di circa 200 punti base, mantenendo il Cet1 ratio superiore al 13 %…”. Per tranquillizzare il mercato UniCredit, sempre la scorsa settimana, ha voluto confermare l’impegno a distribuire un dividendo di 1,2 miliardi di euro per il 2021 e il riacquisto di azioni proprie (buyback) per almeno 2,75 miliardi di euro. 

Su UniCredit resta in sospeso il suo processo di consolidamento, una rotta di viaggio che avverrà probabilmente forse a questo punto di nuovo in Italia, chiusa Mps i rumors non smentiti hanno riguardato negli ultimi tempi Banco Bpm, un’operazione che ha perso forza e andrà rivista con i valori di Borsa che sono molto cambiati da quando era stata pensata. 

Per Intesa, che in Ucraina controlla Pravexbank (45 filiali e 780 dipendenti, attività per 0,3 miliardi di euro), nei giorni scorsi si è già ventilata un’uscita dalla Russia, dove ha una presenza con 28 filiali e più di 900 dipendenti, attività per circa 1 miliardo con molte imprese italiane che erano in rapporti commerciali con Mosca. 

Altri grandi istituti europei tra i più esposti con la Russia come i francesi di Société Générale e gli austriaci Raiffeisen e altri come Deutsche Bank o i colossi americani Goldman Sachs e Jp Morgan stanno anch’essi valutando l’addio alla Russia.

Oltre alle singole banche il mercato guarda ovviamente anche all’effetto complessivo che provocherebbe la liquidazione di operazioni complesse su crediti, titoli e derivati. Un effetto domino che può produrre perdite all’intero sistema finanziario globale. Una preoccupazione espressa e sotto osservazione anche dalla Vigilanza della Bce. 

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