La Banca centrale europea starebbe elaborando un piano per far fronte a centinaia di miliardi di euro di potenziali crediti in sofferenza a seguito dell’epidemia di coronavirus. Su queste pagine Giuseppe Di Gaspare, ordinario di diritto dell’economia nell’Università Luiss di Roma, aveva già ipotizzato la necessità del ricorso ad una bad bank da parte della Bce. Si possono percorrere diverse strade, essenzialmente due, secondo Di Gaspare. E una potrebbe sfavorire le banche italiane. Vediamo perché.
Professore, come commenta quanto è trapelato dalle anticipazioni? Siamo sulla strada giusta?
È ancora presto per dirlo, le indiscrezioni non sembrano convergere e probabilmente, per quello che sta emergendo, sarebbero in lavorazione due ipotesi diverse.
Quali?
Una prima ipotesi sembrerebbe una riedizione della triangolazione tra Fed, Tesoro e banche americane, di cui avevamo già parlato. In questo schema, entrerebbe in gioco il Mes come garante della bad bank.
Come avverrebbe questo?
Secondo quanto riportato da Reuters, la bad bank sarebbe una società finanziaria probabilmente di diritto lussemburghese che, assistita dalla garanzia del Mes, emetterebbe obbligazioni che le banche della zona euro acquisterebbero in cambio di portafogli di sofferenze. Le obbligazioni emesse dalla bad bank verrebbero poi depositate in Bce come collaterali dei finanziamenti erogati dalla Banca centrale. Nella sostanza un’operazione di alleggerimento dei bilanci delle banche commerciali da titoli illiquidi che potrebbero essere anche titoli derivati e altri titoli di agenzia privati in portafoglio.
Ed è una strada che la convince?
L’impatto dell’alleggerimento potrebbe essere piuttosto limitato per lo scopo che ci si dovrebbe prefiggere di rifinanziamenti mirati all’economia reale.
Ci spieghi perché.
Qualche dato. L’Esma, l’Autorità europea che vigila sul mercato finanziario, a fine 2017, in procinto di lasciare la sede londinese, ha finalmente emesso il primo rapporto annuale dalla sua costituzione nel 2011.
E che cosa emerge?
Il valore nozionale dei derivati trattati nel mercato europeo era stimato di 660mila mld dei quali circa 542mila sono derivati trattati fuori dai mercati regolamentati. Quindi meno controllati e più rischiosi. Si tratta di titoli espressi non solo in euro ma in buona parte, circa il 40%, in dollari e sterline.
Cifre da capogiro, per quanto calcolate al valore nozionale dei titoli.
Sì. Non solo. La bolla speculativa pendente sul mercato finanziario dell’eurozona, sempre secondo l’Esma, già nel 2017 era aumentata del 9% rispetto all’anno precedente. Tra le banche europee maggiormente coinvolte ritroviamo, in prima fila, Deutsche Bank. Marginali, anche se non proprio assenti, le banche italiane. Siamo in presenza di quella che nel 2011, in un libro sulla globalizzazione finanziaria, avevo chiamato “l’onda lunga dei derivati”.
Quindi stiamo parlando di una ciambella di salvataggio che riguarda poco le banche italiane, che hanno altre fragilità.
Vero. Ma va detto che in caso di crisi sistemica tutto il sistema bancario dell’eurozona sarebbe coinvolto.
Continuiamo con questa prima ipotesi. La bad bank ritira derivati e offre obbligazioni come collaterale.
Se condotta a termine nel modo indicato, è una chiara operazione di ripulitura dei bilanci delle banche Ue, effettuata con la garanzia del Mes, fuori però del perimetro di controllo della Bce, alla quale le obbligazioni, da accettare come collaterali, arriverebbero per così dire ripulite, parificate come rating e senza alcun collegamento con i sottostanti titoli in sofferenza espulsi dal bilancio delle banche e occultati nella bad bank lussemburghese. Qui c’è un punto delicato che riguarda il Mes.
E sarebbe?
Mentre sono ben chiare le condizionalità cui si sottopongo gli Stati che richiedono il sostegno del Mes, non altrettanto definiti risultano i limiti e i vicoli del suo intervento verso le banche sia in termini di esposizione al rischio, nel rapporto capitale/indebitamento (leverage), sia per titoli derivati o altro su quali operare. Diciamo che è un lato opaco del Mes.
Questa sarebbe allora la prima ipotesi di bad bank. Lei però ha detto che non andrebbe bene per le banche italiane. Perché?
In questo modo le criticità delle banche universali e anche delle banche di investimento, magari tramite banche commerciali, che hanno in bilancio titoli derivati si mitigherebbero. Ma finirebbero sotto il tiro della speculazione le banche italiane, esposte su titoli del debito pubblico nazionale e alle prese con le sofferenze derivanti da prestiti incagliati alle imprese dell’economia reale.
Prestiti che con l’aggravarsi della crisi potrebbero non essere mai più restituiti?
Il merito del credito si degraderebbe sicuramente e le agenzie di rating, attualmente in una strana quiescenza, potrebbero risvegliarsi. È un fatto scontato che i conti del nostro sistema bancario e quelli del debito pubblico sono destinati ad aggravarsi nei prossimi mesi.
Dal Governo le direbbero che ci saranno i soldi del Recovery Fund.
Ma il Recovery Fund dovrebbe essere prima attivato. I tempi si sono ulteriormente allungati e dello strumento sappiamo ancora molto poco. In ogni modo va finanziato, non è solo un prendere, è anche un dare.
Quindi?
In queste condizioni, l’accelerazione autunnale della crisi rischierebbe di portare le nostre banche sull’orlo del default. Con incombente lo spettro della direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive), ovvero del bail-in per il risparmio nazionale, sul quale graverebbe la ristrutturazione dei macro equilibri di finanza pubblica e privata.
Uno scenario apocalittico addirittura propiziato da un piano per far fronte alle sofferenze bancarie!
È un ragionamento al limite, ma meglio un caveat oggi che ritrovarsi a fare i conti con uno strumento sicuramente inadeguato e volto alla ripulitura dei bilanci di banche esposte in titoli derivati illiquidi. Meglio allora ragionare sull’altra ipotesi di bad bank.
Vediamola.
Occorre costruire una società o più società-veicolo fuori dal bilancio della Bce, ma all’interno del suo perimetro operativo, sull’esempio della Federal Deposit Insurance Corporation, parlando del ricorso ad una bad bank da parte della Bce. La Fdic è il braccio operativo della Fed, come Autorità di vigilanza sulle banche commerciali e ne controlla e, se del caso, ne ritira gli asset problematici per evitarne il fallimento.
Come funzionerebbe?
Secondo questo schema, sulla falsariga della Fdic, dovrebbe essere il Consiglio di Vigilanza della Bce ad avere il controllo dell’operazione “bad bank”.
Con quali differenze?
Il Consiglio non si limiterebbe a prendersi in carico, alla cieca, come collaterali per le aperture di credito della Bce i bond emessi dalla bad bank privata lussemburghese e che arriverebbero già coperti dalla garanzia del Mes, senza ben sapere cosa ci sia sotto e a chi e come verranno rigirati i quattrini trasferiti della Bce.
Che cosa farebbe invece?
La Vigilanza della Bce sarebbe tenuta a selezionare e valutare gli asset problematici, secondo criteri propri di risk management. Al contempo, alle banche che vogliono alleggerire i loro portafogli potrebbe imporre, nell’esercizio dei poteri che gli sono attribuiti dal Meccanismo unico di vigilanza, correzioni di rotta significative in modo da ridurne l’esposizione al rischio e dunque l’operatività sui mercati speculativi.
È un caso che Andrea Enria, presidente del Consiglio di vigilanza, abbia giudicato “prematuro”, secondo quanto riportato, discutere ora dell’idea di bad bank anche se l’ipotesi ha il suo appoggio?
Non credo che sia un caso. C’è da augurarsi che non sia l’unico ad essere cauto, perché il tema è delicato. Ripeto la differenza. No ad una società emittente obbligazioni che vengono scaricate sulla Bce. Sì, se invece le società veicolo sono incluse nel perimetro di controllo della Bce. In tal caso è il Consiglio di vigilanza a gestire l’operazione bad bank, a definire la tipologia dei titoli da accettare in deposito e a ridurre l’operatività delle società veicolo, a tutela della moneta unica.
Perché dice a tutela dell’euro?
Perché l’intervento di ripulitura dei portafogli sarebbe circoscritto essenzialmente ai titoli espressi in euro e alle banche dell’eurozona, con buona pace della City post-Brexit. Siamo ancora nel periodo di transizione che si concluderà alla fine dell’anno e l’influenza della finanza della City, delle sue filiali e propaggini nell’eurozona è ancora pienamente operativa.
E questa seconda soluzione andrebbe meglio per le nostre banche?
Non sarebbe sfavorevole. Potrebbe andare bene un po’ a tutti, conciliando diverse esigenze tra le quali, ora, prioritaria, non solo per noi, l’accettazione di collaterali derivanti da cartolarizzazioni di crediti non performanti ad imprese dell’economia reale, che libererebbero le banche da crediti in sofferenza, vincolando però il loro rifinanziamento al sostegno delle imprese e alla ripartenza dell’economia, perlomeno per fare fronte alle sofferenze causate dalla crisi economica del coronavirus.
(Federico Ferraù)