Appare corretta, sul piano del realismo analitico, la domanda relativa al perché il mercato finanziario non stia scontando il rischio geopolitico pur tutti gli attori rilevanti avendolo inserito nei loro strumenti di scenaristica e il rischio stesso crescente. Il fenomeno merita analisi.
Il gruppo di ricerca dello scrivente l’ha iniziata recuperando gli studi della psicologia sociale francese, dagli anni Cinquanta del secolo scorso, per valutare l’ipotesi della “negazione del pericolo” studiata in casi di possibili disastri poi estesa da istituti di ricerca, per lo più americani e dedicati alle scienze del comportamento, a un insieme più ampio di rischi. Da questo insieme di studi è ricavabile, pur non con sufficiente chiarezza, una tendenza alla rimozione del pericolo. Ma anche un eccesso di reazione non-razionale al manifestarsi (reale o solo comunicativo) di un pericolo stesso incombente. Alla luce di questa base analitica, l’ipotesi di contingenza è che la percezione del pericolo non abbia ancora raggiunto la soglia di una modifica comportamentale discontinua (isteresi). Tuttavia, da altri studi – in particolare quelli sulle “catastrofi comunicative” del Prof. Marco Lombardi, Università Cattolica di Milano – è emersa la presenza di fenomeni sia di negazione, sia di percezione eccessiva di un pericolo, permettendo di tentare un’ipotesi generale: fino a che il pericolo non prende evidenza reale o comunicativa prevale la tendenza a cercarne fattori limitativi o a sottovalutarlo o rimuoverlo, ma poi quando e se prende evidenza è probabile che la reazione sia, appunto, isterica o eccessiva.
Se tale linea di analisi avesse senso realistico, in questo momento il sistema finanziario internazionale, centrato sull’area euroamericana, non può dirsi (solo) in fase di negazione del pericolo, ma in quella di “sovrapesatura” dei suoi fattori limitativi.
Realistico? C’è del realismo: l’America vuole raffreddare le tensioni con la Cina e in Medio Oriente nonché tenere un comportamento solo difensivo in Ucraina. La Cina non rinuncia alla sua aggressività, ma la limita per timore di sanzioni contro il suo export e importazione di investimenti in un momento economico difficile. La Russia è più aggressiva perché è debole sul piano della guerra convenzionale e quindi ricorre alla minaccia nucleare, ma facendo intendere che sarebbe uno strumento di ultima istanza non attivo in caso di composizioni. Pertanto il mercato ha qualche ragione per non scontare il rischio geopolitico, concentrandosi sul probabile effetto espansivo della riduzione dei tassi. Ma così si rende vulnerabile a un’induzione comunicativa di minaccia incombente, forse motivo della comunicazione di “ambiguità strategica” dissuasiva contro Mosca recentemente fatta da Macron. Ma rigettata dagli alleati.
La ricerca continua valutando quanta deterrenza in più l’alleanza euroamericana deve attivare per permettere al mercato di sottovalutare il pericolo e scommettere sull’espansione futura.
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