Il mondo, non a caso, si sta affidando ai banchieri centrali. No, non a quelli di oggi che si affidano per ora solo alla medicina dei tassi bassi, ma ai due governatori che hanno dominato la scena del decennio scorso, traghettando l’economia reale dalla crisi dei subprime alla ripresa senza precipitare nei disastri del passato: Mario Draghi e Mark Carney. Della missione di Draghi, oggi alle prese con l’improba fatica di consolidare l’anello debole dell’Ue, per il bene dell’Italia e dell’intera Europa, se ne è parlato e se ne parlerà ancora a lungo. Mark Carney, già governatore della Royal Bank of Canada poi della Bank of England, è personaggio assai meno noto in Italia anche se il suo carisma ha grande eco internazionale: grazie a lui, ad esempio, il sistema bancario canadese fu l’unico a non esser contagiato dalla crisi dei subprime. Ma pochi s’interrogarono, un paio d’anni fa, sulle sue intenzioni future, una volta finito in mandato alla Banca d’Inghilterra. Il suo impegno sul clima venne giudicato alla stregua di un incarico di prestigio più che effettivo.
Al contrario, Carney ha usato questo tempo per dar vista a una straordinaria macchina da guerra: Gfanz, cioè la Glasgow Financial Alliance for Net Zero, un patto tra i grandi della finanza, banche assicurazioni, fondi di investimento e fondi pensione, private e altri Big del mercato, con un obiettivo: azzerare la CO2 entro il 2050. “Stavolta non abbiamo scuse – ha detto Carney al vertice Cop-26 – perché i soldi ci sono”. Ovvero 130 mila miliardi di dollari messi sul tavolo da 450 gruppi basati in 45 Paesi disposti a destinare il 40% delle risorse monetarie mondiali alla lotta al riscaldamento per i prossimi tre decenni. È come mettere in campo per una generazione l’equivalente di dieci piani Marshall.
La chiave di volta della strategia l’ha spiegata lo stesso Carney: “Abbiamo adesso l’attrezzatura necessaria per spostare il cambiamento climatico dai margini all’avanguardia della finanza, così che ogni decisione finanziaria ne dovrà tener conto”.
Insomma, nessuno dei protagonisti del mercato potrà fare a meno di confrontarsi con il business del futuro, pena il rischio di finire out, colpito dall’ostracismo degli investitori grandi e piccoli oltre che dal gotha del mercato perché a fianco di Carney, l’unico in grado di reggere il confronto con il carisma di Mario Draghi, ai vertici del Gfanz figurano tra gli altri Michael Bloomberg e Larry Fink, il numero uno di Black Rock.
Funzionerà la formula? Presto per dirlo, ma è comunque la nota più interessante del meeting in terra di Scozia, occasione per un selfie con Greta Thunberg o solenni impegni che, in passato, hanno prodotto bel pochi risultati. Per mille legittime ragioni, perché, al di là delle chiacchiere, l’interesse immediato degli Stati fa premio sulle esigenze collettive. E dopo migliaia di anni in cui l’ambiente, dal controllo delle risorse idriche a quello dei valichi e delle frontiere, è stata più occasione di conflitti che di accordi, è assai difficile chiedere ai vari politici un cambio di paradigma.
La crescita della finanza sostenibile (o Esg) è il fattore nuovo che può (non è detto che lo faccia) cambiare il quadro. Non solo perché i bond che finanziano esclusivamente progetti ambientali, sociali o di governance sono cresciuti oltre il 25% e hanno raggiunto i 500 miliardi di dollari, mentre simmetricamente i capitali affluiscono con crescenti difficoltà ai progetti energivori che nessun investitore istituzionale sembra volere più finanziare. Ma anche perché l’ambiente non è sganciato dal tentativo di emergere nel dopo pandemia. Al contrario, è la chiave fondamentale per avviare la ripresa.
Ma nei primi tempi, come già si vede, aumenterà la dipendenza da gas e petrolio e si manterranno alti i prezzi. “È comprensibile in questo contesto – scrive Alessandro Fugnoli – che le banche centrali siano sempre più abbottonate nella loro guidance e che la Fed, l’unica grande banca centrale che può ancora permettersi il lusso di alzare i tassi, abbia affrettato il passo del tapering per avere modo di iniziare i rialzi, se necessario, a metà dell’anno prossimo. Tutto fa pensare che governi e banche centrali si spingeranno a livelli mai visti negli ultimi decenni per sostenere la crescita ed evitare cadute cicliche. È bello saperlo e restare nella scia dell’espansione con i portafogli ben carichi di rischio. Ma è anche bene ricordare che più a lungo prevale l’idea della crescita a tutti i costi, più sale il rischio di instabilità”.
Insomma, la vera partita ormai si è gioca al di là dei recinti di Bce e Fed. Ma i veri protagonisti non cambiano.
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