Un proverbio dice che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Mi riferisco all’ultima riunione del Fmi. In essa qualcuno, incurante di essere stato sconfessato dalla realtà dei fatti, è andato avanti affermando che occorre migliorare il settore finanziario e garantire che disponga di riserve sufficienti che possano essere liberate in periodi di stress. L’area dell’euro sarebbe più solida di prima della crisi ma, comunque, l’Unione economica e monetaria dovrebbe essere rafforzata. In particolare, attuando quanto già concordato e portando a termine i progetti comuni avviati: completamento dell’unione bancaria, rafforzamento della capacità operativa del Meccanismo europeo di stabilità e realizzazione di progressi ambiziosi nell’unione dei mercati dei capitali.



Tutto quello che ha preceduto quanto sostenuto si è dimostrato fallace per diversi ordini di motivi, già da me esplicitati in precedenti articoli sul Sussidiario: la moneta adottata dal Sistema europeo delle banche centrali (Sebc) è emessa a debito e perciò il sistema impedisce la restituzione, a livello globale, dei prestiti, a meno che i singoli Stati non abbiano la facoltà: 1) di finanziare investimenti emettendo propria moneta per importi superiori all’ammontare degli interessi addebitati dal sistema bancario; 2) che gli addebiti degli interessi delle banche private siano compensati da spese di importo almeno pari a detti interessi, ma dette spese devono essere effettuate negli stessi territori nei quali è avvenuto l’addebito.



I motivi per i quali faccio queste affermazioni mi sembrano lapalissiani, perché penso di parlare a persone che sappiano ragionare o che abbiano l’umiltà di chiedere quello che non riescono a comprendere.

Ma anche altre affermazioni vogliono portare l’Italia sulla stessa strada del declino greco. Infatti, sempre in quella sede, lo stesso personaggio ha voluto ribadire la necessità di istituire un sostegno al Fondo unico di risoluzione, che dimostri l’impegno dell’area dell’euro a completare l’unione bancaria. “Dovremmo inoltre riaccendere la fiducia nel nostro quadro economico e fiscale, rendendolo più efficace nel garantire una sana politica a livello nazionale”. Belle parole, che significano tutto e il contrario di tutto.



Cosa intendeva? Più avanti ha specificato che andava rafforzato, in ambito europeo, il lancio di “uno strumento di bilancio dell’area-euro per la convergenza e la competitività”, cioè ha continuato in affermazioni che non consentono di esprimere un giudizio di validità. Inoltre, sempre nella stessa sede, ha tenuto a sottolineare come sia “in fase di decisione la nuova serie di operazioni trimestrali di rifinanziamento a più lungo termine (Tltro-III), con inizio nel settembre 2019 e scadenza nel marzo 2021”. Il tutto, ha aggiunto, per “contribuire a mantenere condizioni di prestito bancario favorevoli e una trasmissione fluida della politica monetaria”.

Quindi, il suo pensiero è diretto a salvaguardare un sistema bancario che o si appropria della ricchezza reale e si sostituisce agli imprenditori o non può sopravvivere.
Invece Draghi dice che proprio “per sfruttare appieno i benefici delle nostre misure di politica monetaria, i governi nazionali dell’area-euro, devono contribuire in modo più deciso ad aumentare il potenziale di crescita a lungo termine e a ridurre le vulnerabilità”, attuando “riforme strutturali”.

Ciò soprattutto per quei Paesi il cui debito pubblico è elevato, come l’Italia. Paesi che “devono continuare a ricostituire le riserve di bilancio”. Il che, come ho sempre affermato, è matematicamente impossibile. Anche se, per Draghi, tutti “dovrebbero intensificare gli sforzi per raggiungere una composizione delle finanze pubbliche più favorevole alla crescita”. Ineccepibile, ma non indica quali siano le caratteristiche qualitative delle decisioni, ma solo il risultato da raggiungere.

Ha poi continuato con la genericità delle sue affermazioni, come “segnali di attenuazione” di fattori interni che frenano la crescita, di “venti contrari globali che continuano a pesare sull’andamento della crescita”, “il persistere di incertezze, legate a fattori geopolitici”, “minacce di protezionismo”, “vulnerabilità dei mercati emergenti”. Tutte affermazioni che si possono leggere come scarichi di responsabilità.

Infatti , non va trascurato che ha pure richiamato la questione della Brexit, perché ancora tutta da definire e da attuare, stante il rinvio concesso dall’Europa e, perciò, il settore finanziario dovrebbe continuare a prepararsi a tutte le possibili eventualità, compresa una Brexit disordinata.

Mi viene in mente il primo incontro con il mio coetaneo, quando la sera sostenni il mio secondo esame a Firenze, tendente ad avere una seconda laurea che avrei voluto conseguire con tutti 30. Dopo aver interrogato tutti i giovani universitari che avevano frequentato il suo corso, finalmente iniziò il mio esame che durò il doppio del tempo di tutti gli altri esaminati e ciò perché non ero giovane. Dovetti accontentarmi di un 28, perché poche ore dopo mi attendevano al lavoro, dove non avevo mai chiesto agevolazioni nemmeno per studenti e quindi l’alternativa era rifiutare o accettare, lasciando traccia del mio impegno.

Ho scritto questo non tanto per il lettore, ma per indurre il mio coetaneo a riconoscere l’assurdità di un’economia basata su una moneta a debito senza alcun correttivo: la mia rinuncia a conseguire la seconda laurea di fronte al mancato riconoscimento della mia preparazione è nulla rispetto alla caparbietà di voler continuare con decisioni, che sono state e sono causa di suicidi, e che stante gli articoli di stampa non vengono nemmeno apprezzate dagli Stati che ne sono i massimi beneficiari e dai loro rappresentanti presenti nel board della Bce, anche se su quest’ultimo punto non condivido l’opinione degli articolisti.