Le recenti celebrazioni per i trent’anni della caduta del Muro di Berlino mi hanno fatto riandare alla memoria di quando mi resi conto che quel giorno, il 9 novembre, è anche il giorno della dedicazione della Basilica Lateranense di Roma, la chiesa di San Giovanni in Laterano, che è anche la sede episcopale del Vescovo di Roma. Questa “coincidenza” di date mi ha fatto pensare al celebre versetto nel quale Gesù, affidando la guida della Chiesa a Pietro, afferma che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. Ora, a trent’anni di distanza, mi sembra di poter dire che la caduta del Muro di Berlino ha costituito l’inizio della grande illusione: l’illusione che il comunismo come ideologia fosse finito e che il mondo si avviasse verso un’era di pace e di prosperità.



La prosperità c’è stata, ma solo per le grandi ricchezze. Per il resto, la violenza è diventata un problema sociale in quasi tutte le società del mondo moderno, mentre la disparità di ricchezza è in continuo aumento. Inoltre, tutto questo è provocato dall’ideologia oggi dominante, liberista e globalista, che condivide proprio con il comunismo alcuni temi fondamentali: la globalizzazione dell’economia, la limitazione delle libertà individuali, la soppressione delle identità nazionali sia come identità di popoli che come sovranità degli stati.



Il progressivo depauperamento della classe media tramite la compressione dei salari e la disoccupazione sono solo un’ovvia conseguenza di tutto ciò. Qui non è questione di Germania o Francia o Italia o Grecia, ma riguarda tutti, tanto è vero che i segnali di queste problematiche si possono vedere benissimo perfino in Germania, spesso indicato come Paese di riferimento, come lo è di fatto in ambito finanziario. Infatti, lo spread è calcolato precisamente rispetto agli interessi dei titoli di Stato tedeschi, senza che questo sia un elemento definito da qualche parte, in qualche trattato internazionale o da qualche (inverosimile) regola della scienza economica. Viene posto come un dato della realtà, come se quella tedesca fosse l’unica realtà a cui il resto del mondo si deve adeguare.



Come insegna il Vangelo, l’albero si riconosce dai frutti e quello che oggi abbiamo è indubbiamente il frutto di vent’anni di euro e di dodici anni di crisi affrontati con le regole dell’euro e con le regole e le azioni prese durante la crisi. Tali frutti parlano di un sistema bancario ancora traballante e bisognoso di ulteriori iniezioni di liquidità per non crollare al primo soffio di vento contrario. L’economia è in continua sofferenza e lo spettro di una nuova recessione inizia a essere sempre meno spettro e sempre più un dato attuale, dopo le recenti notizie di arretramento dell’economia tedesca.

Gli osanna tributati a Draghi, salutato come il salvatore dell’euro nella sua ultima conferenza, hanno nascosto tutto questo. Ma lo stesso Draghi nel suo discorso ha richiamato alla necessità di procedere all’unione bancaria, una riunione ritenuta impossibile, politicamente, perché i politici tedeschi hanno sempre basato i loro proclami in patria sulla determinazione a impedire che “i tedeschi paghino per i Paesi del sud Europa”. La novità di questi ultimi giorni è che si è diffusa l’indiscrezione che il colosso tedesco Deutsche Bank sia fallito. Non è una notizia, ma solo un’indiscrezione non confermata. Ma non sarebbe una notizia perché tutti sanno che i derivati di quella banca privi di un valore attuale ammontano a circa venti volte il Pil della Germania e cinque volte il Pil della Ue.

Ripeto, non vi sono conferme a questa indiscrezione. Ma quello che sta facendo pensare male è il cambiamento improvviso di linea del ministro Scholz, il quale ha affermato che è ora di procedere a un’assicurazione europea dei conti correnti. Un capovolgimento sconcertante per un politico di tale peso che molti hanno commentato come il tentativo di proteggere i correntisti tedeschi dal momento che ora sono loro ad avere il problema.

Su questo tema già diversi economisti tedeschi si erano espressi in modo favorevole, considerandolo un passaggio necessario per evitare l’implosione della zona euro, ma la politica tedesca si era finora dimostrata sorda a tali appelli. E dopo questo cambio di scena molti politici hanno reagito col solito schema mentale: “Non vogliamo pagare noi per i paesi del sud Europa”; non si sono ancora resi conto che sono loro a essere nei guai. Anche la Merkel ha reagito malissimo, dimostrando che il ministro ha parlato senza che lei fosse consultata. Questa è la seconda volta che accade e non è un bel segnale politico; si trova sempre più emarginata politicamente, effetto dovuto anche alle continue sconfitte elettorali del suo partito.

La cosa grottesca è che un eventuale salvataggio dovrebbe avvenire tramite il fondo Mes, attuato secondo le sue regole. Questo vuol dire che a tali salvataggi possono accedere i Paesi con i conti “in regola” (cioè con un debito non troppo alto), quindi l’Italia, generoso contributore di tale fondo, ne è di fatto esclusa. In altre parole, i contribuenti italiani rischiano di partecipare generosamente al salvataggio delle banche tedesche. Tutto questo lascia intendere quanto sia irrazionale l’architettura monetaria e bancaria europea e dovrebbe essere sufficiente a una determinazione politica a preservare gli interessi italiani, attraverso un’adeguata sovranità monetaria.

La sovranità non è quindi il tentativo puerile di “fare da soli” in un mondo totalmente connesso, come oggi viene descritta dai principali commentatori. La sovranità è un diritto, un fondamentale diritto umano secondo la Dottrina sociale della Chiesa, e corrisponde al diritto e al dovere di preservare i propri interessi, gli interessi del proprio popolo.