L’Italia, com’è stato ricordato al ministro dell’Economia Franco durante l’Eurogruppo del mese scorso, con la partita del Quirinale in pieno svolgimento, non ha ancora ratificato la riforma del Mes. E presto potrebbe trovarsi a dover far ricorso a questo strumento a causa del repentino rialzo dell’inflazione. Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi, ci aiuta a capire perché, partendo da un’analisi relativa alle future mosse della Bce, visto che uno dei membri del Consiglio direttivo, nonché presidente della Banca centrale francese, Francois Villeroy de Galhau, in un intervento alla London School of Economics ha detto che l’Eurotower potrebbe porre fine agli acquisti netti di titoli di stato già nel terzo trimestre dell’anno.
Può aiutarci a capire quali potranno essere le future mosse della Bce?
Christine Lagarde ha chiarito da tempo che, qualsiasi decisione di politica monetaria verrà presa a marzo saranno rispettati sequencing (prima la fine degli acquisti netti di titoli e solo successivamente il rialzo dei tassi) e gradualità. Nella conferenza stampa seguita alla riunione del Consiglio direttivo del mese scorso, la Presidente della Bce ha, di fatto, indicato che dobbiamo attenderci a breve una revisione delle previsioni macroeconomiche della Banca centrale e che saranno tali per cui l’inflazione nel 2023 e 2024 non convergerà più al di sotto del 2%, ma almeno sul target di medio periodo, pari appunto al 2%, se non su valori addirittura superiori.
E questo cosa implica?
A questo punto si apre la porta alla possibilità di cambiare la stance di politica monetaria della Bce. Del resto, Lagarde ha aggiunto e ribadito di recente che ci sono “rischi di inflazione orientati al rialzo”. Questo vuol dire che verrà presumibilmente intensificato il ritmo di riduzione degli acquisti netti di titoli, che potrebbero terminare tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Successivamente, in una finestra temporale anche ristretta se fosse necessario, la Banca centrale alzerà i tassi (sequencing). C’è poi un fatto da non trascurare.
Quale?
Secondo un report di Reuters, che generalmente ha ottime fonti, nella riunione del Consiglio direttivo di febbraio una “minoranza significativa” ha chiesto alla Presidente un inasprimento della politica monetaria sin da subito. Questo è importante, perché probabilmente di questa minoranza significativa fanno parte i rappresentanti della Germania e dei Paesi del Nord Europa. E la Lagarde probabilmente avrà una postura diversa da quella di Draghi nei confronti di questi Paesi.
Cosa intende dire?
Draghi è stato un Presidente molto pragmatico che non esitava ad antagonizzare il rappresentante della Bundesbank, andando a negoziare direttamente con la politica tedesca per condizionarlo. Credo che la Lagarde avrà un atteggiamento più cauto, teso a evitare disaccordi plateali, anche perché non ha il background tecnico per sostenere un dibattito in termini intellettuali come invece era in grado di fare Draghi. Dobbiamo quindi essere consapevoli che la Lagarde privilegerà il consenso come guida della sua presidenza, cercherà un compromesso probabilmente facendo più concessioni. Questo vuol dire che il fronte meridionale dell’Eurozona rischia di trovarsi sotto pressione.
Quali saranno le conseguenze?
Lo stiamo già vedendo perché i mercati hanno incorporato le aspettative di un inasprimento della politica monetaria già dalla prossima riunione del Consiglio direttivo di marzo: un innalzamento dello spread per i Paesi più indebitati come l’Italia. Venendo meno la prospettiva di acquisti netti di titoli di stato sul mercato secondario da parte della Bce, che ha rappresentato lo strumento principe con cui si sono tenuti a bada i differenziali, si riaffaccerà il dibattito su come gestire lo spread e quale ruolo calmieratore in quel contesto può avere il Mes.
E il dibattito si riaffaccerà abbastanza presto visto che il presidente della Banca centrale francese, quindi un esponente di un Paese del Sud Europa, ha detto che mantenere gli acquisti netti di asset da ottobre non sarebbe appropriato…
Lo scenario condiviso dagli analisti è esattamente questo. I mercati agiscono sulla base delle aspettative, pertanto non aspetteranno l’autunno: già da ora, infatti, scontano che a fine anno il tasso applicato sulla liquidità parcheggiata dalle banche presso la Bce passerà da -0,5% a 0%.
Dunque si riaffaccia il Mes. Non quello però sanitario cui in Italia si pensava di accedere dopo lo scoppio della pandemia.
Assolutamente no. L’intervento del Mes va letto in un contesto in cui gli spread dovessero ampliarsi in misura significativa: la Bce interverrebbe con acquisti netti mirati sui titoli di stato del Paese, ma a condizione che il Mes le dia un sigillo di approvazione grazie a un contestuale programma di stabilizzazione concordato, per così dire, con le autorità di quel Paese.
Accedere al Mes, anche dopo la sua riforma, sarebbe penalizzante per l’Italia? Sarebbe una sorta di commissariamento?
Chiaramente rappresenta l’extrema ratio, uno scenario senza dubbio da evitare. Come hanno chiarito esponenti di vari Governi europei sia di centrosinistra che di centrodestra, il Mes è per i Paesi che non riescono a rifinanziare il proprio debito che per l’Italia, viste le proporzioni del debito, rappresenterebbe uno scenario di particolare gravità.
C’è il rischio tra l’altro di discutere del Mes in Italia quando entrerà nel vivo, dopo le presidenziali francesi, il dibattito sul futuro del Patto di stabilità.
Sì. Aggiungerei anche una sovrapposizione con il ciclo politico italiano: tra l’autunno e la primavera, in maniera anticipata o meno, ci saranno le elezioni. Qualsiasi sia il Governo in carica, si troverà quindi nella non pienezza dei suoi poteri, politicamente parlando, con i partiti impegnati nella campagna elettorale e pertanto senza alcun interesse a mostrare l’atteggiamento più costruttivo possibile. E in questo scenario potrebbe maturare la tempesta dello spread.
Il Parlamento italiano non ha ancora ratificato la riforma del Mes. Se ciò dovesse avvenire durante un periodo di spread molto elevato sicuramente avremmo una forte contrapposizione tra i partiti come in passato.
Sì, con l’ovvio risultato che nel momento in cui ci fosse una tempesta sullo spread italiano chiaramente i margini di manovra per evitare la ratifica sarebbero ridotti. Purtroppo l’Italia si è infilata in un vicolo cieco rimandando il problema nella vana speranza che il tempo se ne prendesse cura, senza affrontarlo. Il rischio è che accada qualcosa di analogo a quanto visto nel caso dell’Unione bancaria, con le distorsioni che ha creato e le incompletezze che permangono, aspetti che non furono adeguatamente rappresentati all’opinione pubblica come, poi, è emerso in tutta evidenza.
Sarebbe dunque opportuno discutere della ratifica del Mes quanto prima.
Assolutamente sì, perché mettere sotto il tappeto la questione non è una soluzione. Può giovare sicuramente alla tattica politica di alcuni partiti della maggioranza, ma il rischio è poi di dover procedere alla ratifica senza neanche un sano dibattito.
In settimana il Commissario Gentiloni ha detto che “non possiamo chiedere che tutto venga sistemato dalla politica monetaria”. Vuol dire che allora si può sperare in una politica fiscale europea capace di non frenare la crescita?
Si può, in effetti, immaginare uno scenario ideale in cui il ritiro dello stimolo monetario induca a rivedere la politica fiscale in una direzione più costruttiva rispetto a quanto avvenuto fino allo scoppio della pandemia. Non vorrei, però, che l’intensificazione delle pressioni dei mercati, che vanno a colpire sempre i soliti Paesi, in particolare l’Italia, creasse invece una convergenza per una svolta minimale con la solita scusa che bisogna tenere sotto controllo i nostri conti pubblici.
Che poi è di fatto la ragione per cui il premier e il ministro dell’Economia sembrano non volere uno nuovo scostamento di bilancio.
Il Governo fa bene perché bisogna mantenere comunque una disciplina e richieste di scostamento da parte dei singoli ministri vanno valutate nell’ambito di un quadro strategico complessivo. La discussione sul Patto di stabilità, però, non è solo questione di disciplina, ma anche di come assecondare uno stimolo di crescita che l’Europa ha inteso fornire alle economie più fragili e maggiormente colpite dalla pandemia con il Recovery Fund. Non vorrei che alla fine tutto si risolvesse con una svolta minimale e cosmetica, lasciando inalterate le questioni di fondo. Una delle lezioni di questa pandemia è stata di creare un efficace mix tra le politiche fiscali e monetaria. Ecco, è una lezione che va preservata.
(Lorenzo Torrisi)
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