No, la guerra non è finita ci manda a dire la variante B.1.1.529 spuntata nelle bidonville dell’Africa australe. Nel giro di poche ore l’allarme ha mandato al tappeto senza distinzione tutti i mercati che scandiscono il flusso quotidiano dell’economia globale: azioni, obbligazioni, materie prime, oltre ai derivati più o meno sofisticati che fanno avanzare il grande gioco. Una reazione istintiva, forse esagerata. Ma l’esperienza di questi anni ci ha insegnato che la filosofia più saggia in materia di virus è quella del vecchio West: prima spara, poi vai controllare.
E così sono passati solo dieci giorni dall’avvistamento del primo caso in Botswana all’allarme dell’Organizzazione mondiale della sanità e alla chiusura delle frontiere per affrontare un nemico di cui si sa molto poco salvo che dispone di almeno trenta mutazioni (contro le due della variante Delta) per aggirare le difese degli organismi e che non è provata l’efficacia dei vaccini nei suoi confronti.
Insomma, ce n’è abbastanza, nel caso venissero confermati i peggiori sospetti, per inceppare il motore della ripresa globale che già stenta di suo a salire di giri tra problemi della logistica e le fiammate del Covid-19 in Europa. Forse è solo scaramanzia o eccesso di legittima difesa. Oppure una reazione istintiva, buona per frenare i prezzi dei mercati azionari, ancora sui massimi, nonostante si moltiplichino le voci per un rialzo dei tassi dopo anni di denaro a quasi zero.
È presto per trarre indicazioni più precise. Per ora, trova solo conferma il fatto che la pandemia è davvero un fenomeno globale che sfugge alle classificazioni tradizionali: il Covid- 19 punisce l’Europa ricca, che si rifiuta di piegarsi alle regole del buon senso e dei vaccini, ma il flagello colpisce anche i più poveri, quelli che, negli slums di Johannesburg, il vaccino vorrebbero farlo ma non possono. Tutti, senza distinzione di classe, possono essere colpiti se non vengono rispettate le regole del senso comune dettate dall’emergenza.
L’allarme cade del resto pochi giorni dopo la conclusione della conferenza mondiale sull’ambiente da cui era emersa la necessità di una collaborazione internazionale. In questa chiave l’insorgere di una variante più aggressiva del virus non fa altro che ricordarci che gli impegni globali per salvare il pianeta vanno affrontati senza indugi. E che la giustizia, oltre che un dovere morale, oggi è un’esigenza economica: i milioni di profughi che vagano per il pianeta, così come le popolazioni africane oppresse per sfruttare le ricchezze del sottosuolo, rappresentano una mina vagante, foriera di disastri che finiranno per colpire chi si crede al riparo.
La ripresa dell’emergenza, a prima vista, ha una conseguenza positiva. Una ricaduta dell’economia convincerà le Banche centrali, già propense a tenere basso il costo del denaro, a rinviare a data da destinarsi l’aumento del costo del denaro. Ma questa rischia di essere una ben magra soddisfazione. La liquidità iniettata nel sistema è destinata a tradursi in aumento dei prezzi, un fenomeno positivo finché si accompagna a un aumento della produzione. Ma nel caso i prezzi aumentino (con il sostegno delle richieste salariali che già si fanno sentire in molti Paesi) mentre l’economia ristagna, magari per una nuova ondata di lockdown, il risultato sarebbe la stagflazione, probabilmente la situazione più difficile da affrontare.
Insomma, speriamo che l’allarme africano rientri presto. Ma anche in quel caso non abbassiamo la guardia troppo presto. Il mondo è davvero troppo fragile per cantare vittoria.
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