Uno degli eventi “borsistici” di questi mesi è stata la rinuncia di LVMH, colosso del lusso francese, all’acquisizione, già annunciata e definita, di Tiffany. La pandemia da Covid ha causato danni economici che erano inimmaginabili, ma come testimonia il recente accordo tra PSA e FCA, certe operazioni industriali si possono chiudere, ovviamente con qualche modifica, anche in questa fase. Quello che forse non è noto è che uno scoop di Reuters di due settimane fa ha svelato che a far cambiare idea a LVMH non è stata la pandemia, ma il Governo francese. Infatti, il ministro degli Esteri transalpino ha inviato una lettera a LVMH chiedendo alla società di sospendere l’operazione per supportare il Governo nella disputa tra Francia e Usa sui dazi. Il direttore finanziario di LVMH ha dichiarato che la società è stata obbligata ad accettare la richiesta del governo.
Secondo un’altra interpretazione, meno probabile, è stata la stessa LVMH a chiedere e ottenere la lettera al Governo per non dover rispondere di fronte agli azionisti di Tiffany della mancata acquisizione. Quello che importa è che il Governo francese è mani e piedi dentro le vicende societarie di una società, LVMH, che ieri capitalizzava 200 miliardi di euro e 8 volte Eni. Evidentemente, per inciso, il lusso globale parla francese sia nei marchi, sia, soprattutto, nelle cose che contano: società a proprietà “francese”.
Il ministro degli Esteri francese ieri ha difeso la sua “intromissione”, o come imposizione o come aiuto, così: “è mio dovere proteggere gli interessi francesi”, “ho scambi regolari con i manager di Orano, Total, Veolia e altre società”, “sono responsabile delle relazioni internazionali della Francia”. La peculiarità francese è la costanza e la tenacia assolute con cui il sistema difende i suoi interessi a prescindere dal mercato e da mistiche narrazioni sul destino comune europeo; gli esempi sono tantissimi. I francesi, in un certo senso, non hanno mai fatto nemmeno finta e sono, in fondo, più onesti di molti altri.
Quello che importa è che la vicenda di LVMH spiega benissimo come si comportano i sistemi Paesi adulti che non sono governati da politici ricoperti di onorificenze “straniere”. Se queste sono le premesse dovremmo, almeno, rileggere con occhi diversi tante vicende societarie e industriali capitate in Italia negli ultimi anni a partire da quella più recente di Fiat. Certi epiloghi in altri Paesi sarebbero stati inconcepibili e impensabili; le tesi di chi sostiene che le scelte occupazionali siano determinate solo da considerazioni di mercato sono lunari o in malafede. Non è evidentemente così. Dovremmo anche leggere la storia di tante indagini che hanno distrutto inutilmente società industrialmente sanissime e appetibili; in alcuni casi queste società italianissime, capita l’antifona, hanno spostato gli uffici in altre capitali europee. I problemi sono finiti.
Il problema non è la Francia, né la Germania o la Spagna o l’Inghilterra. Il problema siamo noi e il declino industriale italiano non è affatto estraneo a scelte politiche e governative. In una fase come questa, per esempio, quali saranno mai gli interessi europei sulle acciaierie italiane? Oppure; possibile che CNH starebbe per vendere Iveco a un’azienda statale cinese, così svelava ieri Bloomberg, e nessuno dice niente? Capiamo la polemica su sovranismo e simili, ma a questo punto gli unici che non sono sovranisti siamo noi e le conseguenze dovrebbero essere evidenti a tutti. Il sovranismo degli altri, per inciso, non ha colore politico, piuttosto è un tratto genetico di tutto il sistema.