Vi ricordate lo Sturm und Drang (tempesta e impeto)? È stato uno dei più importanti movimenti culturali tedeschi alla fine del Settecento. Prende il nome dal dramma Wirrwarr (caos), pubblicato nel 1776 da Maximilian Klinger. Era caratterizzato da una forte drammatizzazione a tinte fosche e contribuì alla nascita e alla formazione del romanticismo tedesco. In Italia, abbiamo avuto oltre una settimana di Sturm und Drang per il modo in cui il Governo, e soprattutto il Presidente del Consiglio, hanno trattato il coronavirus. Tutte le misure raccomandate della professione medica andavano prese: isolamento dei focolai di crisi, invito a una maggiore igiene, chiusura temporanea dei principali luoghi di affollamento e simili. Pur se alcune di esse sono state tardive. Ad esempio, si sarebbero dovuti ascoltare con maggiore attenzione i suggerimenti dei Presidenti delle Regioni del Nord di sottoporre a screening tutti coloro, anche gli studenti, che rientravano dalla Cina. E il blocco dei voli Italia-Cina è stato piuttosto inutile se non si facevano controlli su coloro, pur provenienti dal Celeste Impero, che arrivavano nel Bel Paese attraverso scali intermedi. Essere tardivi è stata probabilmente la determinante di un contagio maggiore in Italia, Paese esportatore e che intrattiene stretti rapporti con la Cina, rispetto ad altri Paesi europei.
Si sarebbe dovuta evitare una drammatizzazione (sedute del Consiglio dei Ministri nella sede della Protezione Civile, continua esposizione del Presidente del Consiglio su tutte le reti televisive, polemiche tra Regioni e Stato centrale, critiche di palazzo Chigi al sistema sanitario della Lombardia) che ha provocato solo danni. In Francia e Germania (e altri Paesi) si sta affrontando il coronavirus senza Sturm und Drang, con risultati non peggiori di quelli che, per ora, si hanno in Italia.
Viene il dubbio – a pensar male, diceva Giulio Andreotti, si fa peccato ma spesso ci si azzecca – che lo Sturm und Drang sul coronavirus sia stato, consapevolmente o inconsapevolmente, un alibi, o meglio un doppio alibi. È servito a dare un’immagine di coesione del Governo dopo settimane in cui le liti al suo interno diventavano sempre peggiori. È servito a nascondere una politica economica di crescita, annunciata dal novembre scorso e che in gennaio avrebbe dovuto esprimersi con un “cronoprogramma” di provvedimenti specifici, ma di cui si aspettano ancora i lineamenti. Lo stesso incontro (“chiarificatore”) tra il leader di Italia Viva Matteo Renzi e il Presidente del Consiglio, in programma per la settimana scorsa non si è tenuto a causa dello Sturm und Drang sul coronavirus.
È difficile separare il costo del “coronavirus” da quello dello Sturm und Drang. Verosimilmente, la recessione prossima ventura annunciata su questa testata da settimane (sulla base delle analisi dai maggiori centri previsionali internazionali) verrà addebitata interamente al “coronavirus” mentre una sua determinante è senza dubbio la mancanza di una politica economica espansionista e un’altra è l’effetto congiunto di Sturm und Drang e di coronavirus. Il tracollo nel settore turistico alberghiero (e aereo) è da imputarsi in gran parte allo Sturm und Drang. La prova controfattuale è che non ce n’è stato uno analogo in altri Paesi, pur affetti dal coronavirus, ma dove non lo si è condito di Sturm und Drang. La prova aneddotica è che il 28 febbraio a un ufficio centrale di Londra un impiegato si è rifiutato di accettare una busta con quattro nuovi, e rari, CD a me indirizzata sino a quando non si è sincerato che Rome is not in Northern Italy.
Grosso modo si può dire che coronavirus e Sturm und Drang avranno insieme il costo di un punto di Pil e che, anche a ragione della più vasta e più complessa situazione internazionale, aggraveranno una recessione che si annuncia pesante. Le misure deliberate dal Consiglio dei Ministri del 28 febbraio riguardano unicamente una prima serie di provvedimenti per alleviare nella “zona rossa” e al settore turistico-alberghiero. Includono: a) la sospensione di tutti i pagamenti, non solo delle tasse ma anche di contributi e premi della Rc auto; b) tutele per i lavoratori, dalla cassa integrazione a un’indennità specifica per gli autonomi fino alle norme “salva-stipendio” per i dipendenti pubblici; c) mano tesa alle imprese, a partire da quelle del turismo. “Con questo decreto – ha detto il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri – completiamo la sospensione di tutti i tributi, adempimenti, bollette degli 11 Comuni colpiti dal virus, la cosiddetta “zona rossa”, potenziamo gli strumenti di cassa integrazione e sostegno al reddito per lavoratori sia dipendenti che autonomi dei comuni e delle tre regioni” coinvolte. Il Governo darà un “sostegno al turismo attraverso una sospensione del pagamento dei contributi previdenziali e delle ritenute fiscali per tutte le imprese del settore”. Inoltre, agevolerà “l’accesso al fondo di garanzia per le piccole imprese per garantire più liquidità a imprese in difficoltà”. E ancora, con il decreto “saranno stanziate risorse per il sostegno all’export e introdotta una serie di altre misure più dettagliate. Un secondo gruppo di misure è atteso per la settimana che inizia oggi 2 marzo.
Tuttavia, in mancanza di una politica economica mirata a rispondere alla recessione, queste misure incideranno poco. Una politica economica espansionista non solo è necessaria, ma è fattibile. Il Governo sostiene che, grazie ai buoni rapporti con la Commissione europea, otterrà la flessibilità necessaria. In effetti, tale flessibilità è esplicitamente prevista dai Trattati e dagli accordi intergovernativi quando si realizzano “condizioni straordinarie” quali una recessione imputabile almeno in parte al coronavirus. Non solo; la esplicita chiaramente il regolamento europeo No. 2012 del 2002 con il quale è stato istituito il Fondo di Solidarietà. Anzi, ove la recessione colpisse gran parte dell’Unione europea, potrebbe essere un buon momento per rilanciare le varie proposte di “eurobonds”.
Non sono gli arcigni Signori di Bruxelles, o dei Paesi nordici, a impedire o solo a frenare una politica espansionista anti-recessione. Lo è il fardello del nostro debito pubblico e la struttura della nostra spesa pubblica. I mercati possono accettare un ulteriore aumento del debito in rapporto al Pil unicamente se toccano con mano una politica rivolta alla crescita grazie anche alla flessibilità. Ciò vuol dire un contenimento delle spese di parte corrente e un aumento di quelle per investimenti pubblici. Come documenta il blog “Le Stanze di Ercole”, ci sono 12 miliardi fermi di investimenti pubblici già approvati e contrattualmente definiti ma bloccati, pare, in attesa della prossima Legge di bilancio. Lo sanno sia a Bruxelles, sia nelle agenzie di rating a cui tanto guardano i mercati finanziari. Un esame di coscienza quindi deve essere fatto a palazzo Chigi e nei dicasteri competenti.