Siamo alle prese con i quattro cavalieri dell’Apocalisse: quattro crisi che si accavallano contemporaneamente e che lasceranno un segno profondo nell’economia e nella politica. Proprio perché sono quattro crisi simultanee, è difficile azzardare previsioni sulla loro soluzione e su come sarà il mondo quando saranno superate.
In breve, la prima crisi è la pandemia del “coronavirus”, o di quello che negli Usa viene chiamato “virus cinese” per ragioni geografiche non razziste: si è propagato dalla Cina al resto del mondo e il Governo di Pechino ha goffamente tentato di celarlo perdendo tempo e facilitando il contagio. È una doppia crisi: da un lato, ha un costo elevatissimo in termini di vite umane e di perdita di produzione e di reddito; da un altro, mostra la fragilità dei sistemi sanitari anche dei Paesi più avanzati e più attenti ai servizi sociali.
La seconda crisi è la recessione dell’economia reale. Stime preliminari parlano di due-tre punti percentuali del Pil mondiale. Come una guerra. In alcuni Paesi, la recessione è già iniziata; secondo i dati Istat, l’Italia ha cominciato a scivolare in recessione nel quarto trimestre 2019. Nel nostro Paese la recessione minaccia di essere profonda in termini di perdita di produzione, di reddito e di occupazione per due elementi: siamo in stagnazione da vent’anni e l’alto livello del debito pubblico ci impedisce di fare politiche di bilancio troppo espansive.
La terza crisi è finanziaria. Il crollo delle Borse degli ultimi tempi è stato innescato dalla crisi sanitaria e dalla crisi dell’economia reale. Ha, però, parte delle sue radici nel fatto che dal 2007 gli indici di Borsa crescono, anche negli Usa, a un tasso che è doppio di quello dell’economia reale. Ciò ha causato una “bolla” destinata a esplodere al primo sussulto. In parallelo, i bassi tassi d’interesse degli ultimi tredici anni hanno contribuito a un forte indebitamento delle imprese non finanziarie (tramite sia eccessivo accesso al credito, sia emissioni di obbligazioni di dubbia qualità).
La quarta crisi è politica. In molti Paesi, i Governi hanno serie difficoltà a rispondere alla richieste dei cittadini per fronteggiare la crisi sanitaria, la recessione e la perdita di valore del loro capitale azionario e obbligazionario (nonché immobiliare e pensionistico). L’Unione europea tenta, più o meno tardivamente, di dare le risposte che si aspettano da lei. Conta, però, sempre meno nel gioco geopolitico (non riesce, ad esempio, a profferire una parola nella guerra sui prezzi del petrolio). Un nuovo conflitto commerciale e tecnologico tra Stati Uniti e Cina pare alle porte anche a ragione della crisi sanitaria.
Nei giorni scorsi, un articolo su World Press (dal titolo “First Economic Policy Lessons from the Corona Crisis”) dell’economista austriaco Kurt Bayer (è stato direttore generale del Tesoro in Austria e ha rappresentato il suo Paese nei consigli d’amministrazione della Banca Mondiale e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) ha ricordato una celebre frase di Winston Churchill «Non sprecate mai una buona crisi».
Possiamo «non sprecare» questa quadruplice crisi che si staglia come i quattro cavalieri dell’Apocalisse sul nostro presente e futuro? Molto dipende da come risolveremo la crisi politica. Ossia da chi eleggeremo a guidare i nostri Paesi. Il settimanale The Economist ha sottolineato come uno degli esiti della crisi finanziaria del 2008-2009 sia stata una slavina che in molti Paesi ha travolto i partiti tradizionali e fatto emergere nuove forze politiche meno internazionaliste ove non decisamente isolazioniste: l’esempio principale citato dal settimanale sono gli Stati Uniti, ma la riflessione si applica a numerosi Paesi europei e non solo. Se questo fosse l’esito sarebbe difficile pensare a una nuova Bretton Woods che delinei un ordine internazionale basato su regole certe, cooperazione, apertura dei mercati.
Probabilmente, quale che sia l’esito della crisi politica, ci sarà una riflessione sulla politica sanitaria che, in tutto il mondo, porterà a una maggiore attenzione al settore.
Molto arduo fare previsione sugli esiti delle altre due crisi: la recessione dell’economia reale e la finanza. I loro esiti dipendono strettamente da chi guiderà i principali Paesi della Comunità internazionale. Uscire dalla crisi dell’economia reale, ad esempio, implica un forte stimolo con disavanzi di bilancio: in un Paese come l’Italia, ciò porterebbe presto ad un rapporto debito: Pil almeno a 170%. La Gran Bretagna – è vero – alla fine della Seconda guerra mondiale ne aveva uno che superava il 250% ma poteva contare sulla strategia del dollaro e della sterlina, ossia sullo duplice garanzia: degli Stati Uniti e del sistema creato a Bretton Woods.
In fin dei conti, sta a noi «non sprecare» questa quadruplice crisi e far diventare da neri a bianchi i quattro cavalieri.