Anche oggi, come capita da un po’ di tempo, un banchiere centrale europeo cerca di infondere un po’ di ottimismo sui mercati. Dopo gli interventi di madame Lagarde e del capo economista della Bce Philip Lane, già pupillo di Mario Draghi, l’altro giorno e è toccato al finlandese Olli Rehn che in un’intervista rilasciata a Reuters ha sostenuto che la Bce sarà sempre più attenta ai temi del benessere sociale, anche nel caso questo impegno porti a temporanei sforamenti del target di inflazione ammessi. Il governatore della banca centrale della Finlandia afferma che è arrivato il momento di prendere in considerazione la possibilità di andare sopra, vista la storia recente di incapacità di raggiungere gli obiettivi, imitando così la Fed. Il governatore della Banca d’Italia dice che sia la politica fiscale sia la politica monetaria devono restare estremamente accomodanti.
In attesa di un aumento del target vari fattori di supporto, anche tecnici, favoriscono l’andamento positivo dei titoli di Stato. Entro fine anno si attendono 50 miliardi di rimborsi di obbligazioni a medio e lungo termine e gli analisti di Unicredit prevedono un’offerta di 35-40 miliardi. “Attendiamo che la Bce compri altri 35 miliardi di bond italiani entro fine 2020, dando un supporto solido al mercato”. Tutto lascia pensare, insomma, che le autorità monetarie intendano spendere tutto il loro peso per contenere gli effetti negativi del contagio con un intervento in occasione del prossimo direttorio, fissato per fine mese. Ma lo stesso vale per la politica fiscale?
Non contribuiscono a creare un clima costruttivo le parole della Merkel sull’economia tedesca che non sarà in grado di sopportare una seconda ondata di Covid. La macchina produttiva tedesca ha sopportato due guerre mondiali e la divisione del Paese per mezzo secolo e quindi la Merkel non va presa alla lettera, ma il suo monito, inteso a sensibilizzare sulla necessità di comportamenti prudenti, tradisce anche una sensazione d’impotenza o, meglio, di scarsa disponibilità verso ulteriori misure di sostegno all’economia. È lo stesso atteggiamento che si riscontra nei componenti tedeschi della Bce che, pur senza chiudere formalmente le porte di fronte a un incremento degli acquisti di Quantitative easing, cercano di limitarlo.
Un comportamento in parte giustificato dalla reattività dell’economia del Vecchio Continente che, a giudicare dall’andamento di colossi Daimler o Lvmh, più che mai regina del lusso, ha saputo recuperare posizioni in scia alla ripresa del colosso cinese ove consumi e produzione sono tornati a crescere in doppia cifra. Ma un comportamento pericoloso perché non è certo arrivato il momento di allentare la guardia.
Con questo timore in testa, ci avviciniamo al grande esame delle elezioni Usa. Pare che già un 10 per cento dell’elettorato si sia espresso con il voto postale. E cresce in parallelo l’ansia dei contendenti, specie dei democratici che si sentono ad un passo dalla vittoria e perciò temono una gaffe di Joe Biden nel finale piuttosto che un colpo di reni del Presidente. Per ora, però, le paure della vigilia non si sono materializzate. Qualche volta la realtà è meno brutta di quella che immaginiamo. E che questo suoni ad augurio mentre facciamo gli scongiuri in attesa della prossima onda di contagi.