Dopo le elezioni del novembre 1876, segnate da brogli vistosi e tre mesi di contestazioni e colpi di mano, gli Stati Uniti, freschi di guerra civile, raggiunsero un compromesso solo a fine gennaio sulla base di uno scambio politico: la Casa Bianca al repubblicano antischiavista Rutheford Hayes dell’Ohio in cambio del permesso ai democratici del Sud di estendere i diritti politici ai neri emancipati dopo la Guerra di secessione. Non è detto che la storia debba ripetersi. Ma è prevedibile che anche stavolta sarà necessario individuare un compromesso tra le estreme, volente o nolente Donald Trump.



La sensazione non cambia dopo la rissa che ha caratterizzato il primo dibattito tra i duellanti. Non a caso, i mercati hanno accolto senza troppi traumi la pioggia di insulti tra concorrenti che non si stimano, bensì si detestano. A sostenere Wall Street contribuisce il fatto che da mesi gli investitori hanno fatto il pieno di opzioni per proteggersi dal rischio di contestazioni sull’esito del voto. Nel frattempo il mercato si concentra sull’ultima onda della rivoluzione tecnologica, compresa la discussa offerta di Palantir, l’intelligenza artificiale al servizio della caccia ai migranti clandestini per conto della Cia. Ma finora l’esperienza dimostra che le preoccupazioni per l’impatto sui mercati della stagione elettorale erano probabilmente esagerate. Certo, andava scontato l’aumento della volatilità, ma la pioggia di liquidità e la garanzia di tassi bassi si sono rivelati sufficienti a tener la situazione sotto controllo. Almeno per ora, perché la stagione del dopo voto si annuncia problematica soprattutto se coinciderà con la seconda ondata della pandemia che rischia di esplodere ancor prima che si possa dire esaurita l’onda numero uno.



La situazione sembra sotto controllo fino al 3 novembre. Altro discorso per la fase grigia, quella che durerà fino al 20 gennaio, data dell’insediamento del nuovo Presidente: in caso di sconfitta, Trump promette battaglia in attesa che i voti vengano conteggiati di nuovo sotto la minaccia dell’estrema destra. Ma, come dimostra il dialogo al Congresso sul budget, è assai difficile che la corporate America non individui una soluzione accettabile per tutti. Diverso il discorso per il dopo voto in cui i propositi dei candidati, rimasti in ombra nel primo dibattito, dovranno fare i conti con il contagio. Se in inverno il Covid dovesse presentarsi davvero con la stessa virulenza dei primi mesi del 2020, sarà difficile non ripristinare il lockdown. In particolare se Biden dovesse entrare alla Casa Bianca a gennaio, troverebbe difficile non chiudere almeno parzialmente l’economia dopo avere criticato duramente Trump per averla chiusa troppo poco.



C’è poi un altro aspetto preoccupante, dal punto di vista delle economie e dei mercati, fa notare Alessandro Fugnoli: “Benché si sia iniziato a parlare già in primavera di seconda ondata nell’inverno prossimo, nessuna delle previsioni macro in circolazione (da cui derivano le stime sugli utili e quindi sulle borse del 2021) ne tiene conto”. Insomma, il contagio ha mandato per ora in soffitta le previsioni sia macro che micro. E nel frattempo si deve prender atto che la strada per arrivare ad un vaccino e alla sua distribuzione di massa richiede più tempo di quanto sperato.

In queste condizioni siamo costretti a navigare a vista facendo affidamento su una politica monetaria espansiva che difficilmente eviterà la recessione che incombe minacciosa a mano a mano che emergono i limiti della politica fiscale. Alternative non se ne vedono, né per gli Stati Uniti, né per l’Eurozona: la Bce , infatti, si accinge a far cadere il tabù del tetto all’inflazione del 2% (del resto mai rispettato).

Nulla di nuovo sul fronte occidentale, dunque. Ma a Oriente la situazione è un’altra. La Cina da giovedì festeggia la Golden Week dedicata ai viaggi interni. Saranno 600 milioni i viaggiatori che percorreranno le vie del Celeste Impero, a conferma che il virus sembra debellato una volta per tutte.