Mario Draghi ha lanciato l’allarme relativo alle aziende sottocapitalizzate che sono a rischio di insolvenza nella situazione di blocco del mercato e che a loro volta potrebbero destabilizzare il sistema bancario. Chi scrive ha tentato un primo calcolo della grandezza di tale rischio: circa il 25% delle piccole aziende italiane, più nel settore dei servizi che in quello manifatturiero.



Questo caso peggiore potrebbe iniziare a marzo-aprile quando cesseranno le misure d’emergenza a sostegno delle imprese. In quel periodo dovrebbe cominciare il rimbalzo graduale e “naturale” del mercato a seguito della vaccinazione, più visibile nel terzo trimestre 2021. Ciò salverà un certo numero di aziende nel perimetro di rischio. Ma non a sufficienza.



I ricercatori di Prometeia valutano che i fondi europei – 209 miliardi, ma con erogazione spalmata negli anni – non avranno effetti salvifici nel breve termine (nel primo semestre arriveranno solo 26 miliardi in Italia). Pertanto si intravede un periodo da marzo a settembre 2021 dove molte piccole aziende potrebbero chiudere e generare un fabbisogno assistenziale che eccede le capacità dello Stato.

Questa eventualità non è una profezia, ma solo un rischio. Infatti, c’è la possibilità di un caso migliore, ottenibile cambiando le norme che irrigidiscono la flessibilità delle piccole e medie imprese. Per esempio: incentivare la (ri)capitalizzazione delle aziende sotto i 5 milioni di fatturato applicando un meccanismo simile al bonus del 110% attivato per chi modernizza la casa; facilitare le aggregazioni tra imprese; accelerare e adeguare alla realtà i ristori, allocando per tale scopo più risorse; attivare sconti fiscali prolungati, ecc. Ciò implica riconvertire una parte dei futuri denari europei per la copertura di tale terapia economica d’urgenza.



Il punto: la soluzione salvifica c’è, ma al momento il Governo non la considera. Quindi l’augurio è che la politica trovi lucidità in tempo utile.

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