“Comunque la si guardi, non siamo in una situazione in cui gli investimenti pubblici sono al centro dello sviluppo del paese. E’ una Nadef che pone più quesiti e punti interrogativi di quanti non ne risolva”. E’ il giudizio che Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, si sente di esprimere per la Nota di aggiornamento al Def da poco rilasciata dal governo. “La mia impressione – aggiunge – è che per miopia e mancanza di leadership si continua a parlare tanto di investimenti pubblici, ma se ne continuano a fare estremamente pochi. L’andamento degli appalti non fa che confermare questa impressione. Il nostro è un paese che non ha ancora capito quanto l’attenzione alle future generazioni aiuti tutti a stare meglio. L’Italia ha bisogno di un cambiamento, di uno scatto, ma la politica, sotto l’alibi dell’emergenza in cui ci troviamo, dà l’impressione di non essere all’altezza della straordinarietà del momento”.
La NaDef si prefigge diversi obiettivi di politica economica: aiutare i settori economici più colpiti, valorizzare al massimo le risorse del Next Generation Eu per realizzare investimenti e riforme di vasta portata e profondità e attuare un’ampia riforma fiscale che migliori l’equità. Obiettivi ambiziosi o a portata di mano?
Sono obiettivi probabilmente a portata di mano, bisogna però chiedersi se sono gli obiettivi di cui il paese in questo momento così tragico, unico e complesso ha veramente bisogno.
Non sembra molto convinto. Perché?
Le politiche attuate finora sono abbastanza obbligatorie, adottate in un contesto difficile e straordinario hanno portato risultati importanti, perché la performance italiana, a confronto con gli altri paesi colpiti dal Covid, non è stata più drammatica. Solitamente l’Italia ha un differenziale spiccato, in questo caso la reazione è stata pronta. Ora però la domanda che la NaDef si pone non è sul 2020.
Guardiamo, appunto, al 2021-2022.
Serve un qualcosa di molto diverso da un supporto dato in un contesto in cui le attività produttive erano vincolate. Non è un contesto da lockdown, anche se ovviamente lo scenario può cambiare: il paese riparte da un -9% e quello di cui c’è bisogno sono politiche che massimizzano la velocità e l’ampiezza del recupero verso condizioni normali.
Che cosa servirebbe?
Da tempo sostengo che la manovra che più impatta come moltiplicatore più alto è quella degli investimenti pubblici, non quella delle riforme fiscali, che tipicamente in un periodo caratterizzato da pessimismo non si tramutano necessariamente in maggiore domanda, ma in risparmio.
Quindi si tratta di vedere dove sono e quanti sono gli investimenti pubblici previsti in questa manovra?
Esatto. E lì, guardando solo ai dati, emergono preoccupazioni molto forti.
Quali?
Il governo, rispetto al Def di marzo che prevedeva nel 2021 una crescita del 5,1%, ora parla di un +6%, con una differenza di +0,9 punti, mentre nel 2022 rispetto al precedente +3% nella NaDef adesso si indica un +3,8%, cioè uno 0,8 in più. Dobbiamo capire da dove vengono questi differenziali, che misurano l’impatto che il governo si aspetta dagli interventi che intende adottare per la crescita.
Che cosa potrebbe generare questa extra-crescita?
Sempre seguendo il governo, per il 2021 è previsto un 1,3%, grosso modo una ventina di miliardi, di Pil in più proveniente dall’aumento del deficit, cui si aggiungono 14 miliardi che vengono dall’Europa. In tutto circa 34 miliardi, il 2% del Pil. Per il 2022 abbiamo un deficit che aumenta di 0,6 punti percentuali, 10 miliardi circa, e Gualtieri stesso ha detto che ci saranno 36 miliardi dalla Ue.
Ricapitolando, 34 miliardi nel 2021 di manovra espansiva e 46 miliardi nel 2022, il 2,5% del Pil. Davanti a queste cifre dove sorgono i dubbi?
Come è possibile che una manovra del 2% e una del 2,5% del Pil generino una crescita soltanto della metà (+0,9%) nel 2021 e pari a un terzo (+0,8%) nel 2022?
Lei che risposte si dà?
Possono essere due. La prima: in realtà, dentro quel 2% di Pil nel 2021 e quel 2,5% del 2022 penso ci siano molti meno investimenti pubblici e che quei soldi sono impiegati soprattutto per altri utilizzi. In tal senso ci sono alcuni segnali.
Per esempio?
Considerando l’1,3% di cui parlavamo prima, la domanda da porre a Gualtieri è: quanto assorbe la riforma dell’Irpef? Quanto gli investimenti? La mia impressione è che dentro quei 20 miliardi ci siano un sacco di misure che non sono investimenti pubblici, ma trasferimenti a pioggia a basso impatto sull’economia. Questo spiega perché il moltiplicatore resta così basso. E se guardo la NaDef a legislazione vigente, dove gli investimenti fissi lordi dal 2020 al 2023 restano sempre pari al 2,7% del Pil, ho il timore che un moltiplicatore così basso nasconda un’incapacità non tanto di Gualtieri, che gli investimenti pubblici li ama, quanto della politica intorno a Gualtieri e che lo condiziona, di assicurarsi che gran parte di quelle risorse siano messe a disposizione degli investimenti.
E la seconda ipotesi?
E’ possibile che Gualtieri stia, implicitamente e volontariamente, sottostimando l’impatto sulla crescita. Il che vuol dire che essa sarà superiore a quel che prevede il governo.
Se fosse vero?
Se stiamo sottostimando apposta la crescita per motivi prudenziali, stiamo anche sottostimando il nostro miglioramento nei conti pubblici, perché se l’economia tirerà di più, la finanza pubblica andrà molto meglio. Facessimo un’operazione verità, molto probabilmente succederebbe che nel 2023 saremmo molto più vicini al bilancio in pareggio, ma allora ci sarebbero spazi per ulteriori investimenti pubblici,in grado di aiutare ancora meglio l’economia e la crescita. La mia impressione è che Gualtieri non espliciti questo ragionamento perché ha paura che la solita politica ne approfitterebbe per più trasferimenti a pioggia e sussidi, guardati molto male dalla Ue. Comunque la si guardi non è una situazione in cui gli investimenti siano al centro dello sviluppo del paese. E’ una Nadef che pone più quesiti e punti interrogativi di quanti non ne risolva.
Il governo vuole riportare il disavanzo sotto il 3% entro il 2023. Spera che anche nel 2022 verrà confermata la sospensione del Patto di stabilità?
Credo che l’Europa abbia bisogno rapidamente non solo di sospendere il fiscal compact, perché così rimane comunque nella testa della gente e dà una buona probabilità che rientri in futuro, tanto che, nonostante la sospensione, questo governo si muove già in un’ottica del fiscal compact nel 2022-2023. Non basta, dunque, sospenderlo, è oggi fondamentale richiedere di prendere atto del suo fallimento nell’aiutare l’economia, La conferma l’abbiamo avuta proprio con l’insorgere dell’emergenza legata al Covid: abbiamo dovuto appunto sospendere regole che non sono adatte in momenti di grave crisi. Abbiamo invece bisogno della golden rule, dedicando un 3% del Pil agli investimenti pubblici, e serve farlo adesso, così quando la Ue uscirà dal Covid, avremo finalmente delle regole che non fanno crollare le aspettative di sviluppo.
L’obiettivo dichiarato del governo è riportare il debito ai livelli pre-Covid nell’arco di un decennio, iniziando a farlo scendere già nel 2021. E’ una traiettoria condivisibile o dovremmo essere più veloci?
Potremmo essere più veloci, questo è il punto. Nell’ultimo decennio le dinamiche del debito pubblico rispetto al Pil non sono state movimentate dal numeratore, ma dal denominatore. Ha inciso l’austerità. Se noi riuscissimo a generare tassi di crescita maggiori, avremmo anche stabilità finanziaria. E’ un circolo virtuoso. Ma servono gli investimenti pubblici per avere una discesa del debito più veloce.
Gran parte della scommessa del governo si gioca sui fondi Ue. La decisione sul Mes sanitario è ancora in una sorta di limbo, mentre il Recovery fund potrebbe slittare a metà 2021. Che cosa rischiano il governo, l’economia italiana e i conti pubblici, se si inceppasse il sistema di finanziamento europeo?
I soldi della Ue ci sono e si chiamano Recovery fund. Quanto al Mes sanitario, se i soldi riusciamo a procuraceli da soli, è meglio non ricorrervi, perché se è vero che il Mes ci fa risparmiare qualcosina in termini di spesa per interessi, dall’altra va esplicitamente a rafforzare la costruzione del fiscal compact di cui l’Europa non ha più bisogno. Ma soprattutto dobbiamo pensare a come utilizzare bene i fondi del Recovery, altrimenti ci ritroveremmo messi peggio.
A tal proposito, il fatto che il governo sia intenzionato a prevedere i cosiddetti “progetti-panchina”, cioè una lista di interventi di riserva qualora l’Europa respinga le prime proposte, non depone certo a favore sulla nostra capacità di spesa, non crede?
Direi proprio di sì.
(Marco Biscella)