Come si legge dal sito del Governo Italiano e Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella trascorsa giornata di sabato «il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha tenuto a Villa Madama la conferenza stampa di fine anno organizzata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in collaborazione con l’Associazione della Stampa Parlamentare». Assistendo al lungo intervento del Premier in risposta alle numerose domande dei giornalisti presenti, chi scrive, vuole dare particolare rilievo a quanto affermato in materia di effettivo risparmio per le casse dello Stato a seguito del significativo calo dello spread. Se ne riporta doverosamente quanto affermato dal Presidente del Consiglio: «Il tema non è “tutti contro Salvini” mi assumo le responsabilità se ho commesso degli errori e me ne assumo le conseguenze, però, ad esempio, se lo spread è salito non è salito per le mie dichiarazioni. Se oggi recuperiamo, per il 2020, 6,7 miliardi solo per la caduta dello spread beh me lo consenta, non certo per le dichiarazioni del sottoscritto, ma evidentemente perché c’era una propaganda politica». Si tratta, senza alcun dubbio, di un dato estremamente significativo per lo Stato e per tutti noi cittadini.
Come spesso abbiamo fatto su queste pagine, riteniamo però opportuno contestualizzare “il fatto” all’interno di una visione più ampia e riconducibile all’intero panorama dei tassi di interesse. Prendendo come riferimento l’andamento dei rendimenti a dieci anni dei Bonos spagnoli, degli Oat francesi, dei nostri stessi Btp ed estendendo l’analisi oltre oceano al Treasury Note statunitense, le risultanze che emergono potrebbero comportare una diversa interpretazione dell’accaduto.
È opportuno chiarire fin da subito che la discesa del livello di spread tra Btp e Bund è innegabile: dagli oltre 324 punti dell’ottobre 2018 si è passati ai 132 dello scorso settembre. A tale evidenza, è però opportuno affiancare quanto accaduto – nel medesimo arco temporale – ai nostri “vicini di casa”: la Spagna ha ripiegato dai suoi 145 punti fino a quota 72,5 mentre la Francia ha ridotto ulteriormente il proprio differenziale dai precedenti 38 punti ai circa 28. Possiamo affermare che il ridimensionamento italiano è stato decisamente importante. Sempre rimanendo in tema di spread, quello che invece deve iniziare a far riflettere, è la recente dinamica alla quale abbiamo potuto assistere da settembre a oggi: la Spagna vede i propri livelli incrementarsi di 10 punti (82,3) mentre i nostri cugini francesi di soli quattro punti (32,1). Purtroppo, il Bel Paese, registra un deciso rialzo: 30 punti con un differenziale a quota 163,8. Tralasciando il valore assoluto dei singoli differenziali, appaiono evidenti le variazioni percentuali molto simili tra Spagna (+13,51%) e Francia (+15,47%) mentre si discosta da queste ultime quella fatta registrare dall’Italia (+23,72%).
Allargando la nostra analisi ai rendimenti decennali, si può assistere a un andamento pressoché correlato tra gli stessi paesi europei: Spagna, Francia, Germania e Italia – dall’ottobre 2018 al termine dell’estate 2019 – vedono un’elevata riduzione delle proprie spese in conto capitale (rif. interessi). Questo dato è molto significativo poiché, prescindendo da crisi di Governo in essere o in prossimità a esse (vedasi il caso italiano), i prezzi dei titoli decennali con i loro relativi yields si sono mossi all’unisono.
Abbiamo considerato l’«estate 2019» non a caso poiché un rilievo che riteniamo debba essere portato alla vostra attenzione è quello concernente l’incremento fatto registrare in tale periodo da Spagna, Francia e Germania che hanno visto un aumento dei loro rendimenti nel corso di luglio mentre, in Italia, ciò è avvenuto ad agosto. In questa circoscritta variazione temporale – paradossalmente – i “nostri rendimenti” hanno subìto il minor impatto (in termini di rivalutazione percentuale) nei confronti dei diretti concorrenti: +32,54% (da 1,38% all’1,829%) rispetto al rialzo di Germania (rendimento a -0,224% da -0,409%), di Francia (rendimento a 0,079% da -0,137%) e infine Spagna (rendimento a 0,588% da 0,205%).
Di fatto, con tali numeri alla mano, sembra che l’andamento degli stessi rendimenti e pertanto degli stessi titoli di Stato, sia “indipendente” rispetto a un’azione di Governo e/o a un nuovo insediamento di quest’ultimo. La riprova a questa potenziale, e allo stesso tempo provocatoria conclusione, ci arriva con il parallelismo tra il riportato accaduto europeo e il “lontano” mondo obbligazionario Usa. Nonostante la diversa espressione valutaria, per la medesima asset class (rif. Treasury Note), si giunge alla medesima constatazione ossia la stessa dinamica di rendimento: la diminuzione avvenuta da ottobre 2018 a settembre 2019 e – nel mezzo – il rialzo nei primi dieci giorni di luglio.
Consapevoli che l’argomento trattato sia molto arduo, abbiamo cercato di semplificare al massimo le relative argomentazioni e conclusioni. Dall’intero quadro esposto, il mercato obbligazionario evidenzia un legame molto stretto tra Europa e Usa. Per l’anno che verrà, nutriamo serie perplessità che tale scenario si possa ancora replicare: tenuto conto dell’attuale politica dei tassi di interesse, il Vecchio continente appare maggiormente vulnerabile rispetto agli Stati Uniti. Il nuovo Qe è pronto e già operativo sul mercato, ma si teme che debba essere (prudenzialmente) incrementato prima che si verifichi un potenziale shock: Christine Lagarde, immaginiamo, ne sia consapevole.
Tornando invece a casa nostra, l’attuale compagine di Governo non appare pronta per fronteggiare un’eventuale crisi monetaria e lo spread è solo un elemento di facile rappresentazione della nostra difficile realtà. Il “risparmiato di oggi” («per il 2020, 6,7 miliardi») non potrà essere sufficiente a compensare l’inevitabile “dovuto di domani”.