Nessuno è in grado di prevedere quale sarà l’impatto economico e sanitario dell’epidemia, anche per questo prudenza vuole che si cerchi di mettere fieno in cascina. Il Governo finora è andato avanti con il contagocce, ma da ieri può contare su un cuscinetto di circa 21 miliardi di euro. Può darsi che non sarà sufficiente, ma a questo punto anziché polemizzare sulle cifre, meglio discutere su come verranno impiegate. Come si arriva a tanto?
Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni, vicepresidente e commissario all’Economia a Bruxelles, nella lettera inviata al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri specificano che “le spese una tantum sostenute per far fronte alla diffusione dell’epidemia sono escluse per definizione dal calcolo del bilancio strutturale e non vengono prese in considerazione nella valutazione dell’adeguatezza dello sforzo di bilancio previsto in base alle regole attuali”. Quindi, spiega il ministero, “nel valutare il Programma di Stabilità per il 2020 la Commissione terrà conto della necessità di adottare misure urgenti per salvaguardare la salute e il benessere dei cittadini e mitigare gli effetti negativi del Coronavirus, che vanno considerate compatibili con le regole europee”. Bruxelles ricorda che è al lavoro dal 2 marzo un gruppo che risponde alla presidente Von der Leyen per affrontare l’emergenza. Prende poi atto dell’intenzione italiana di alzare di 6,3 miliardi il deficit, portando il rapporto col Pil dal previsto 2,2% al 2,5% (il pacchetto nel complesso vale 7,5 miliardi, ma tale è l’impatto sul disavanzo).
La Commissione Ue offre un’altra sponda all’Italia. La lettera sottolinea che la cornice fiscale europea è dotata di “flessibilità per affrontare a eventi straordinari al di fuori del controllo del Governo”, rimanendo ferma la necessità di preservare la stabilità fiscale. Che cosa vuol dire in pratica? Secondo la Comunicazione sulla flessibilità adottata dalla Commissione Juncker nel gennaio del 2015, fatta propria dai governi, il massimo teorico di scostamento dagli obiettivi di deficit programmati per i Paesi che rientrino nel “braccio preventivo” del Patto di stabilità (dunque non sottoposti a procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo) si aggira attorno allo 0,75% del Pil, il che per l’Italia ai valori attuali significa 13,5 miliardi di euro. Se i 7,5 miliardi fossero considerati spesa una tantum per l’emergenza Covid-19 e l’Italia utilizzasse l’intero margine, ci sarebbero 21 miliardi da spendere per tamponare gli effetti economici e sanitari. Saranno sufficienti? Nessuno può dirlo perché non è possibile conoscere quando l’epidemia si fermerà. Certo, sembra ridicola la cifra di 8 miliardi di dollari stanziati dall’amministrazione Trump per gli Stati Uniti.
Quando il virus si è abbattuto, l’Italia non aveva gli anticorpi economici: stagnazione, alto debito pubblico, mentre entravano in sofferenza anche le esportazioni che avevano tenuto a galla il Paese negli anni scorsi. Ora Moody’s prevede una caduta del Pil di mezzo punto percentuale, altre previsioni (Ocse, Fmi, Standard & Poor’s) sono meno drastiche, ma è davvero troppo presto per dare i numeri. La cosa certa è che questo 2020 sarà un anno di crisi.
Come verranno impiegate le risorse disponibili? È importante che non si ripropongano misure a pioggia. La sanità deve avere la priorità assoluta, poi il sostegno ai redditi e la garanzia che alle imprese non manchi la liquidità. Secondo cifre fornite dal Tesoro, un miliardo sarà impegnato per assumere medici e infermieri e acquistare attrezzature ospedaliere. Ed è facile prevedere che non basteranno. Due miliardi e mezzo servono per gli ammortizzatori sociali. “Nessuno deve perdere il lavoro a causa del coronavirus”, rassicura Gualtieri. Ma se è così ci vorrà molto di più, non solo per estendere la cassa integrazione straordinaria, ma per garantire integrazioni di reddito anche a chi è costretto a restare a casa per badare ai malati, agli anziani, ai bambini. È essenziale rinviare i pagamenti, tasse, bollette e quant’altro, ma bisogna prevedere un allungamento dei tempi e una recupero rateale, non si può certo pretendere che avvenga una restituzione immediata delle somme dovute al fisco o alle agenzie locali.
Una volta tamponata l’emergenza occorre una terapia d’urto per rimettere in moto l’economia non solo dal lato dei consumi, ma con gli investimenti pubblici (finalmente) e privati. L’Ue sta discutendo di coinvolgere anche la Bei, la Banca europea degli investimenti, se è così bisogna avere nel cassetto progetti ben fatti e realizzabili. E qui entrano i ballo i lacci e laccioli. Si parla di modello Genova per le grandi opere, persino Virginia Raggi sembra essersene convinta. Vedremo. Decisivo sarà l’impegno delle banche. Intesa Sanpaolo ha donato 100 milioni di euro ed è un buon esempio. Tuttavia è fondamentale evitare una stretta al credito e garantire i fondi necessari soprattutto alle piccole imprese.
Diventa ormai ancor più urgente prendere per le corna le regole finanziarie europee. È arrivato il momento di decidere tutti insieme in sede di Eurogruppo una deroga temporanea che preveda lo scorporo totale dei finanziamenti e delle spese destinate agli investimenti, oltre che delle spese necessarie per sostenere i sistemi sanitari nazionali. Non solo. Occorre affrontare con coraggio la revisione di parametri giudicati unanimemente inadatti, come il deficit strutturale e l’output gap. Per non parlare del tetto al debito, fissato al 60% del Pil dal Trattato di Maastricht del 1992, ampiamente superato da gran parte dei Paesi. I tempi saranno senza dubbio lunghi, troppo per combattere l’epidemia, le procedure complesse, lo scontro politico aspro. Tuttavia una decisione concordata in sede europea e sostenuta dalla Bce potrebbe calmare i mercati e preparare le munizioni per affrontare la prossima crisi finanziaria.