Martedì si è tenuto un primo vertice informale dei Capi di Stato e di Governo europei dopo le elezioni. Non è ancora chiaro quale sarà la maggioranza che si formerà all’Europarlamento e chi potrà guidare la Commissione, visto che Emmanuel Macron ha già fatto sapere di non gradire il nome del tedesco Manfred Weber indicato dai popolari. Chi è soddisfatto del risultato elettorale è Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, «perché non hanno vinto i sovranisti, che però si sono rafforzati, mentre si sono indebolite le forze dell’austerità. Abbiamo un Parlamento più moderato che porterà una politica fiscale più intelligente, che poi si tradurrà in regole più intelligenti».
Per esempio?
L’abbandono del Fiscal compact e una regola moderata sul bilancio, che non consenta di sforare il 3% del deficit/Pil, ma che permetta a tutti i paesi in crisi di rimanere al 3%, dando supporto all’economia con la leva della mano pubblica, soprattutto con gli investimenti. Non è detto che ci siano tutte le condizioni per questo, ma certamente subirà una frenata la costruzione di un’Europa centralizzata alla Macron. Aumentano quindi le chance dell’unica Europa che potrà funzionare, quella costruita dal basso, con l’unico antidoto alla distruzione, rappresentato dal tempo e dal dialogo. Se il Parlamento europeo diventa finalmente luogo di rappresentanza dei dolori e delle passioni delle persone, ci rafforzeremo come continente nel giro di 4 legislature, una ventina d’anni.
Una scommessa dunque sul lungo periodo…
Sarà un tempo in cui si potrà dibattere, dialogare, conoscersi e impedire alle persone come Macron di far esplodere il progetto con un’eccessiva centralizzazione fatta di lontananza dalle persone, soprattutto quando queste sono così diverse tra loro. Tutto è da vedere, possiamo con grandissima calma, con grandissima lentezza, andare avanti nella costruzione del progetto che passa centralmente per la parte più importante dell’azione pubblica nell’economia, cioè la politica fiscale. Certo ora sarà importante che il Presidente della Commissione europea non sia una copia di Juncker, che ha fatto finta di interessarsi al dolore della gente, ma nel frattempo ha spinto per tutta una serie di regole che ignoravano questa sofferenza.
Ci sono già alcuni nomi in lizza per la carica di Presidente della Commissione europea. Lei ha qualche preferenza?
Credo che qualsiasi sia il Presidente conterà tantissimo quanto la politica e gli equilibri politici lo indirizzeranno. Spetta al Parlamento e al Consiglio europeo avere la saggezza, una volta scelto il nome, di indirizzare bene il Presidente. Per fortuna l’Europa non è un luogo dove un singolo può agire da solo. L’Europa è un’agorà, quindi è importante quanto questa saprà indirizzare con forza verso la lentezza, e non la brutalità, le scelte del Presidente, chiunque esso sia. Siamo sicuri che non sarà autoritario, ma non basta, ci vuole un Parlamento intelligente e mi sembra che le precondizioni per questo ci siano.
Intanto però, subito dopo il voto, si è già riacceso uno scontro tra Italia e Ue con una lettera da Bruxelles…
Una lettera di un ex commissario, quindi non rilevante. Sarà interessante al limite per gli studiosi, gli storici, leggere quale diverso linguaggio sarà usato di fronte alla sconfitta subita da questa coalizione così sbilanciata verso il conservatorismo e l’assenza di attenzione alla disoccupazione e alla crescita, soprattutto nelle aree più deboli. Credo che siamo di fronte a pantomime in attesa che le vere dinamiche si creino con i nuovi commissari. Probabilmente l’Italia non avrà incarichi di peso, ma aspettiamo di vedere. Spero che i Verdi, con la loro linea anti-austerità, possano avere ruoli importanti o, diversamente, la capacità di fare un’opposizione seria, matura ed europea per le future generazioni. Io sono molto ottimista.
Per lei comunque dovrebbe restare la regola del 3%, magari con l’introduzione della golden rule per scomputare gli investimenti pubblici da deficit?
Sì.
L’Italia dovrebbe allora lottare su questo a livello europeo?
Assolutamente. Tenendo presente che questo vuol dire due cose. Primo, abolizione del Fiscal compact. Secondo, capire bene che questa regola del 3% con golden rule va applicata senza se e senza ma, senza condizionamenti di rientro, per un Paese in crisi finché non torna a crescere. Dopodiché, ed è importante dirlo, il Paese che usufruisce di questa clausola in periodi di scarsa crescita deve essere obbligato a far tornare a quadrare i conti durante i periodi di espansione. Quando c’è da mettere fieno in cascina, questo andrà fatto.
In periodi di crescita diversa da quella dei recenti anni con gli zero virgola…
Per un economista una crescita è almeno del +2%.
(Lorenzo Torrisi)