Osservare le Procure italiane esporsi a sospetti forti di collusione con gli interessi politici del Governo (di centrosinistra) in carica non è una novità: secondo alcuni è anzi la regola fondante della transizione infinita dalla Seconda Repubblica verso la Terza. Ma il caso Autostrade – che ha conosciuto ieri un’escalation con l’arresto dell’ex top manager Giovanni Castellucci – tocca nuovi livelli di significatività paradossale.
Dunque: Castellucci era il Ceo di Atlantia all’epoca del crollo del Ponte di Genova. Ha lasciato la holding e la controllata Aspi tredici mesi dopo la tragedia ed è ora sotto indagine avanzata a Genova assieme ad altri 70 imputati e alle due società per concorso in omicidio colposo plurimo di 43 persone e disastro plurimo. Il processo vero e proprio, tuttavia, non è ancora iniziato: i periti stanno ancora battagliando davanti al Gup. A oltre due anni dal crollo non è quindi ancora imminente neppure una pronuncia giudiziaria di primo grado sulle responsabilità.
Nel frattempo i due governi Conte – su pressione principale e ininterrotta di M5S – hanno condotto un’azione politica volta sostanzialmente a punire Autostrade e la loro proprietà. Un’iniziativa – quella contro la famiglia Benetton – connotata fin dapprincipio da una forte ambiguità. La via maestra – peraltro l’unica praticabile sul piano legale – è subito apparsa la revoca della concessione: ma il capitolato in vigore (dopo la proroga concordata dal governo Renzi con Atlantia) è subito apparso macchinoso ed eccessivamente costoso per lo Stato. Il Conte-2 ha quindi spostato la questione su un terreno prettamente politico: esercitando una pressione crescente su Edizione Holding perché ceda allo Stato la sua quota di controllo di Atlantia. Una manovra che ha subito registrato critiche accese da parte dei mercati internazionali e le proteste degli importanti investitori esteri titolari di quote dirette in Aspi. Dopo l’uscita della Lega dal Governo il “caso Autostrade” è comunque entrato in una generale prospettiva ristatalizzatoria del governo Pd-M5S: poi addirittura formalizzata in stagione Covid dal Decreto Rilancio.
A metà luglio 2020 un accordo per molti versi “privato” – non appoggiato su alcun provvedimento di legge o di governo – ha visto la Presidenza del Consiglio ed Edizione Holding predisporre uno schema per il cambio di proprietà delle Autostrade, con l’intervento operativo della Cdp. Quattro mesi dopo – e dopo infinite scadenze e ultimatum – l’accordo è ancora in mezzo al guado: troppe le incognite legali e finanziarie di una vendita forzata allo Stato – da parte di un investitore privato – del controllo di una grande società quotata. Ed eccessiva appare anche la debolezza attuale del Governo Conte-2 per vibrare una nazionalizzazione “espropriativa” di questa importanza, borderline per lo stato di diritto di un Paese dell’Ue e del G7. È facile infine intuire forme di resistenza sotterranea da parte di quegli ambienti Pd che non dimenticano che Autostrade fu assegnata ai Benetton dal primo Governo dell’Ulivo (più di vent’anni dopo, solo pochi mesi fa, Luciano Benetton ha voluto ostentare un’ospitata delle Sardine a Ponzano Veneto).
È comunque su questo sfondo che ieri la Procura di Genova ha arrestato Castellucci e altri cinque ex dirigenti di Aspi. I magistrati inquirenti – che non avevano mai arrestato Castellucci nell’indagine principale sul Ponte Morandi – hanno invece colpito il manager nell’ambito di un’inchiesta secondaria sulla sicurezza delle barriere fonoassorbenti. Una coincidenza con un nuovo tentativo di spallata da parte di Conte e M5S, in grande difficoltà? I prossimi giorni diranno se “l’effetto-coincidenza” continuerà: magari con un progress decisivo della trattativa fra Stato e Benetton. La magistratura si confermerebbe – come ad esempio nell’estate dell Opa bancarie del 2005 – arbitro-broker “di ultima istanza” delle grandi partite finanziarie: ma stavolta a favore del giacobinismo neo-statalista pentastellato contro il liberomercatismo regolato proprio della tradizione recente della sinistra italiana di governo. Ci sarebbe spunto, nel caso, anche per nuovi interrogativi su assetti e umori correnti all’interno dell’ordine giudiziario, ancora tutt’altro che fuori dal ciclone-Palamara.
Nelle stesse ore, intanto, il neo-statalismo giallorosso ha imboccato una distinta via di paradosso politico-finanziario: autoassegnandosi un golden power a difesa di Mediaset. “Arriva l’emendamento salva-Mediaset: l’Agcom avrà potere di veto sulle scalate a gruppi televisivi e editoriali. La Lega vota contro”: il titolo è copiato da www.ilfattoquotidiano.it ed è di per sé pienamente espressivo della surrealtà della vicenda.
Dal primo giorno in edicola, il giornale di Marco Travaglio ha avuto una genetica ragion d’essere: abbattere Silvio Berlusconi, il suo partito, le sue aziende: denunciare implacabilmente conflitti d’interesse e infinite presunzioni di reato; additare e colpire fiancheggiamenti; sollecitare e applaudire azioni giudiziarie, in una narrazione ininterrotta. Che oggi lo stesso giornale-partito – divenuto nel frattempo l’organo ufficiale del Contismo – riferisca in termini notarili di un emendamento “salva-Mediaset” approvato dal Governo a maggioranza M5S appare il più grottesco dei contrappassi: per di più con la sottolineatura del no della Lega, come preteso accreditamento della “correttezza democratica” dell’intervento salva-Cavaliere del Governo a guida grillina. Resta con piena evidenza il fatto che la maggioranza giallorossa è in estremo allarme per la sua tenuta parlamentare in vista della legge di stabilità finanziaria – e forse anche della conversione di altri decreti Covid – e non ritiene disdicevole ammiccare ai voti “responsabili” di Forza Italia. E se non premessa questa specifica esigenza politica, ben la Rai avrebbe imposto a Fabio Fazio di ospitare domenica sera una lunga intervista telefonica a Berlusconi (padrone di Mediaset) nel salotto televisivo tempio del correttismo politico Rai.
Nel merito, l’attribuzione all’Agcom del potere di blocco di eventuali scalate della francese Vivendi al Biscione, è significativo di come Conte, Pd e M5S intendano riequilibrare “a braccio” i rapporti fra Stato e mercato. La Corte di Giustizia Ue ha infatti recentemente dichiarato illegittima una pronuncia della stessa authority italiana contro Vivendi, che detiene il 28% di Mediaset. La Corte ha di fatto colpito alla radice la legge Gasparri, cioè l’ultima versione del trentennale ordinamento radiotelevisivo italiano, modellato sul duopolio di fatto fra Rai e la stessa Mediaset. Il Governo italiano si è ora impegnato a mandare in soffitta una normativa obsoleta su tutti i fronti. Ma intanto non fa mancare un supplemento di protezione statale ad aziendam a un gruppo privatissimo: quotato in Borsa, benché la maggioranza sia da sempre singolo imprenditore. Dichiarato infinite volte estinto, ma “sempre lì”: come Donald Trump, di fatto un allievo del Cavaliere e ora non a caso ora intenzionato a creare una sua tv-partito.
Per la cronaca: ieri in Borsa Atlantia ha perso circa il 3% in chiusura con una reazione da manuale (il titolo resta in impasse, anche se sembra avvicinarsi una ristatalizzazione non favorevole al mercato). Piazza Affari invece ha reagito in modo non scontato al blitz del Governo su Mediaset, che in giornata ha registrato rialzi superiori al 6%. È vero che l’effetto-vaccino sta trascinando da lunedì anche l’intero listino italiano. Ma di norma una “pillola” pubblica anti-scalata ha un impatto depressivo sulle quotazioni. A meno che il mercato non abbia subodorato qualche operazione straordinaria in arrivo per Mediaset, nell’avvio di un più generale riassetto della media industry nazionale. Magari con qualche ulteriore “buonuscita” pubblica per il Cavaliere “responsabile” verso la maggioranza Conte-Di Maio-Zingaretti. E quel vecchio showman televisivo di nome Beppe Grillo.