L’offerta last-minute del polo spagnolo Acs-Abertis ad Atlantia per Autostrade per l’Italia guarda a una situazione-obiettivo abbastanza leggibile. Aspi verrebbe infine de-italianizzata, sullo stesso percorso iberico già tentato quindici anni fa. Edizione (holding della famiglia Benetton e azionista di maggioranza di Atlantia) uscirebbe di scena con soddisfazione economica e non è escluso che i rapporti consolidati fra Atlantia e Abertis possano favorire la permanenza di Edizione nel nuovo gruppo in posizione di investitore finanziario.



Allo Stato italiano è stata subito offerta da Acs un’opzione flessibile di rientro nella nuova compagine proprietaria e in quel quadro la Cassa depositi e prestiti potrebbe recitare un ruolo assimilabile a quello assunto tre anni fa in Tim; con un impegno finanziario assai minore di quello preventivato finora.



Questo esito potenziale va a confrontarsi in modo diretto con quello cui ha teso finora l’iniziativa avviata dal governo Conte-1 – all’indomani del crollo del ponte di Genova – e confermata dal Conte-2: in entrambi i casi su pressione principale di M5S.

Nell’agosto 2018 il governo Conte-1 reagì alla tragedia del Morandi ponendo subito la questione della ri-pubblicizzazione di Autostrade: alternativa ritenuta preferibile (ancorché più costosa) alla richiesta di revoca della concessione, peraltro legalmente più appropriata alla vicenda. È da allora che il dossier Aspi procede in termini carsici, essenzialmente politico-mediatici: con la stessa lentezza, peraltro, delle indagini giudiziarie da parte della Procura di Genova, non ancora approdate a conclusione. A nulla è servita neppure l’apparente accelerazione impressa dal Conte-2 lo scorso luglio: quando la Presidenza del Consiglio da un lato ed Edizione Holding dall’altro hanno concordato un’inedita “ipotesi transattiva”, a cavallo fra pubblico e privato.



La Cassa depositi e prestiti (controllata dal Mef) è stata messa in campo in modo formale dal Governo, peraltro in una trattativa di mercato: in cui la Cdp non è mai stata obbligata a comperare  e si è sempre mossa entro i termini di verifica prudente di un ingente progetto di investimento ingente. Atlantia dal canto suo, non è mai stata vincolata a vendere: tanto più che in Aspi sono presenti alcuni fondi internazionali con importanti quote di minoranza. Dopo l’avvento del governo Draghi, nuovi round negoziali sono sembrati avvicinare le parti, mentre la famiglia Benetton ha lanciato segnali diretti di totale disimpegno dal dossier. Il traguardo, tuttavia, non è stato finora mai tagliato. E ora l’offerta-blitz firmata dal magnate iberico delle costruzioni Florentino Perez sembra restituire il caso a una cornice più propriamente di mercato: a partire da una valutazione di Aspi  (10 miliardi) più elevata di quella fissata ultimamente da Cdp (circa 9).

Al Governo italiano viene offerta la possibilità di un rientro low-cost in posizione di garanzia sul futuro strategico di una grande infrastruttura-Paese (senza inopportune retromarce sulla privatizzazione decisa nel 1997 dal Prodi-1 e senza esposizioni anomale da parte di Cdp). Edizione – ormai gestita dalla seconda generazione dei Benetton – farebbe quel sostanziale passo indietro richiesto a gran voce da M5S dopo Genova: peraltro senza vedersi oggetto di un “esproprio” statalista e sovranista, fuori dal quadro regolatorio che il sistema-Italia condivide da tempo con gli altri Paesi Ue. La conclusione di una partita politico-finanziaria farebbe naturalmente salvi inchieste e procedimenti penali: che accerterebbero  ed eventualmente punirebbero eventuali responsabilità di cattiva gestione delle concessioNi autostradali da parte di Atlantia targata Benetton.

È facile pensare che il silenzio del governo Draghi – ma anche delle forze politiche, M5S compresi – nasconda quanto meno attenzione verso la “svolta spagnola”. Non è certamente dal Premier in carica che ci si può attendere un endorsement forte per il piano neo-statalista/sovranista partorito dal suo predecessore, assieme ai titolari del Mit, Toninelli e De Micheli. Più facile aspettarsi una classica posizione di distacco vigile per una vicenda di mercato: con il possibile intervento – limitato e non inedito – da parte della Cdp, a valle del Mef.

Se e quando l’operazione maturerà saranno naturalmente possibili numerose altre annotazioni. La prima, senz’altro, è che un’iniziativa politico-finanziaria genuinamente “antagonista” in campo economico da parte di M5S (tuttora partito di maggioranza relativa in Parlamento) sortisce risultati largamente opposti agli intenti: si scontra duramente con la realtà dello stato di diritto di un’economia di mercato.

La seconda riguarda la leadership del Pd passata e presente: Romando Prodi come premier-venditore di Autostrade ai Benetton nel 1997 e poi premier-frenatore del controverso progetto di fusione Aspi-Abertis nel 2006; ed Enrico Letta, neo-segretario “prodiano” del Pd, fra l’altro consigliere d’amministrazione di Abertis fra il 2016 e il 2018, dopo le dimissioni da parlamentare. Se il controllo di Autostrade finirà in Spagna – dopo un ventennio di gestione privatizzata presso i Benetton, culminata nel disastro di Genova –  un momento di riflessione politica non sembrerà fuori luogo.

Un terzo spunto, fin d’ora, riguarda l’impatto di una cessione all’estero di un’azienda strategica nell’attuale fase politico-finanziaria. Se lo Stato italiano – su spinta dei governi Conte-1 e Conte-2 – non ha avuto timore di spingere fuori Italia il controllo di un polo come Autostrade, perché dovrebbe ora insistere per il mantenimento della proprietà statale-nazionale di Alitalia e Ilva? E se Autostrade passa di mano con un’offerta di mercato dall’estero, quali freni potrebbero essere posti – ad esempio – all’italiano Leonardo Del Vecchio che volesse stringere su Mediobanca, istituzione finanziaria italiana a capo delle italiane Assicurazioni Generali? E che dire del gruppo Vivendi che da anni assedia Fininvest, con la Corte di giustizia Ue all’offensiva del duopolio tv “sovranista” fra Rai e Mediaset?

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