E adesso si litiga anche sui mini-Bot. Il ministro Tria dal G20 in Giappone ripete quel che ha detto Draghi due giorni prima: o sono titoli di Stato e allora non servono, anzi, peggio, aumentano il debito; o sono moneta e allora sono illegali. Per Giorgetti, il cervello economico della Lega, servono a pagare i debiti della Pubblica amministrazione, ma non sono moneta. Se però possono servire a fini fiscali, cioè se il fisco li accetta, allora entrano a tutti gli effetti nella massa monetaria, dunque ha ragione Borghi, il folletto economico della Lega, diventano una moneta parallela. Insomma, tra gioco al Monopoli e rompicapo, siamo alla settimana enigmistica. È facile capire che anche questa illusione monetaria si sgonfierà, non si sgonfieranno invece altre due illusioni forse ancor più pericolose perché possiamo considerarle due varianti della solita grande illusione, quella che l’Italia sia protetta dal suo grande stellone.



La prima illusione è che alla fine della fiera la Banca centrale europea ci tirerà fuori dai pasticci perché è troppo pericoloso lasciare che l’Italia diventi come la Grecia. Nei confronti della stessa repubblica ellenica, del resto, sono stati commessi molti errori, in particolare nel 2010: hanno scatenato il panico e correggerli è stato difficile, penoso e più costoso per tutti a cominciare dall’Italia. Dunque, mai più. Se le cose vanno male la Bce stamperà altra moneta e comprerà altri titoli (giovedì al consiglio direttivo se ne è discusso apertamente).



L’illusione è così vasta e trasversale che ha contagiato anche l’opposizione, basti vedere gli articoli pubblicati ieri dalla Repubblica, c’è persino la convinzione che Weidmann abbia cambiato parere e si stia lisciando l’Italia per ottenere il posto di Draghi. Una teoria non campata in aria perché lo stesso Tria ha detto che vedrebbe bene il capo della Bundesbank come presidente della Bce. E Weidmann giovedì ha appoggiato la scelta di tenere bassi gli interessi. D’altra parte, il precipitoso rallentamento della Germania spinge in questa direzione.

Non la pensa così il mondo della finanza, almeno stando a quel che scrive il Wall Street Journal. La Bce è già piena di titoli, ne ha in bilancio una quantità pari al 40% del Pil della zona euro. I tassi sono sottozero e la Bce si colloca più vicina alla Banca del Giappone che alla Federal Reserve. Potrebbe decidere di comprare azioni, come accade in Giappone, ma l’effetto sull’economia sarebbe debole perché nell’Europa continentale la maggior parte degli investimenti non passa per la borsa, ma per le banche che vengono alimentate con continue iniezioni di moneta a tassi infimi e senza limiti (la Bce ha appena deciso un’ulteriore iniezione). Ebbene, nonostante tutto questo ambaradan monetario, l’inflazione è ancora inferiore all’obiettivo del 2% e l’economia rallenta. Un segno chiaro che, sebbene Draghi continui a negarlo, la Bce sta esaurendo le sue munizioni.



Insomma, non è dalla politica monetaria che può arrivare un nuovo impulso, ma dalla politica fiscale. Ciò vale per tutti i paesi europei, a cominciare dalla Germania che deve finalmente violare i suoi due tabù: aumentare la domanda interna riducendo così il mega surplus della bilancia estera e riequilibrare un sistema bancario ad alto rischio per gli stessi mercati finanziari. Anche l’Italia, nonostante i progressi fatti, deve consolidare le banche e per farlo bisogna che nei bilanci delle banche ci siano meno sofferenze e meno titoli di stato. Mentre la Germania deve allentare le redini, l’Italia deve ridurre il debito pubblico. Questo lo sanno tutti, da Tria allo stesso Giorgetti (nonostante le intemerate sui mini-Bot).

L’altra illusione ha a che fare con i giochi politici europei. Anche in questo caso si dice che l’Italia è troppo importante per poter fare a meno di lei. Non solo perché è un Paese fondatore, ma perché non fa bene a nessuno eccitare la deriva nazional-populista. Può darsi. Ma intanto tra chi dà le carte non c’è il Governo italiano. La Lega e il Movimento 5 Stelle sono isolati nel Parlamento europeo. Sono fuori da ogni famiglia politica che conti, avevano promesso che le elezioni avrebbero ribaltato gli equilibri a favore dei sovranisti, invece li hanno cambiati a favore dei liberali che sono più europeisti dei socialisti e degli stessi popolari. Salvini ha commesso un errore colossale: sarebbe stato meglio per lui entrare nel Ppe e formare con Orbán e magari con i cristiano-sociali bavaresi un’ala destra influente. Certo avrebbe dovuto cambiare i toni e parecchi contenuti, ma allora sì che avrebbe giocato una partita strategica. Il capo della Lega ha dimostrato ancora una volta di essere un bravo agitatore politico, ma di non avere strategia, soprattutto in un campo internazionale che non conosce e non dimostra molta voglia di conoscere per davvero.

Fuori dalle spartizioni e dagli equilibri politici europei, senza più l’enorme salvagente della Bce la quale dal 2012 a oggi ha tenuto a galla un Paese che ha rifiutato di risolvere i suoi problemi di fondo, l’Italia (i partiti, le istituzioni, i media, gli interessi organizzati) ha bisogno di tirare il fiato, smettere di gridare al lupo e di frignare per non essere considerata come vorrebbe. E, dopo un serio esame di coscienza, dovrebbe affrontare gli esami che finora ha sempre rinviato a settembre. Perché questa volta non ci sarà un’ennesima sessione di recupero.